MUSE IN MUSICA.
La donna nelle tradizioni musicali del Marocco.
Ciao, ben ritrovato al nostro caro amico Moulay Zidane e a tutti voi, lettrici e lettori. Approfitto subito per ringraziare quanti di voi, numerosi, continuano a mandare commenti e segnali di apprezzamento e di stima per questo blog; continuate a farlo perché questo ci incoraggia a continuare con entusiasmo. Anche le critiche sono ben accette. Mi scuso e tengo a farvi sapere, però, che da qualche tempo mi è impossibile approvare i commenti, per cause tecniche che, spero, si risolvano presto. Ma ora dedichiamoci alle cose belle e interessanti che ci piace affrontare insieme e, con gioia di donna, vi presento il tema di oggi che è, appunto, dedicato alle tradizioni musicali al femminile, in Marocco. Lo facciamo ancora, per nostra fortuna e con sommo piacere, guidati da Moulay Zidane El Amrani, a cui mi rivolgo subito.
Zidane, sia come persona comune che come musicista, mi capita spesso di sentir parlare degli africani come di persone naturalmente portate verso la musica e, in particolare, verso il ritmo. In realtà sappiamo bene che l’ambiente e le esperienze di vita formano moltissimo il nostro modo di essere; difficile e credo non documentabile, quindi, dire che ci sia qualcosa di genetico che predispone più o meno verso il ritmo e, in generale, verso l’essere più o meno musicale. Anzi, colgo l’occasione per segnalare a chi non lo conosca ancora, un bellissimo libro che studiai molti anni fa, al DAMS, e che ho riletto recentemente, con rinnovato interesse. Si tratta di “Come è musicale l’uomo?”, di John Blacking, Ricordi/Unicopli, 1973. Tu, da africano, che ne pensi dei tanti luoghi comuni sulla presunta superiorità musicale?
Z.: Ferma restando la permeabilità personale, sviluppata o meno, il senso della melodia è scientificamente parte integrante di ogni essere umano. Tuttavia, questa caratteristica, in terra d’Africa appare più fisiologica. Non certo per lo storico stereotipo che afferma che “gli africani hanno il ritmo nel sangue” e che non è altro che un “emerito” cliché coloniale da uomo bianco, quanto lo è, altrettanto, il presunto concetto del Mal d’Africa, ma semplicemente perché, in Africa, il contatto con gli elementi di madre-natura e la loro percezione sono più immediati. Ho amici africani che non saprebbero intonare neanche “Frà Martino campanaro” o che, ballando, si muovono con la grazia di un palo della luce, ciò a prova del fatto che chi non conosce l’Africa, spesso la immagina come gli dettano la fantasia o i media e ne fa un concetto esotico, a volte magico, ma, di fatto, quasi mai privo di stereotipi e di pregiudizi.
In Africa le sovrastrutture, urbanistiche e mentali, sono meno sviluppate e, quindi, lasciano più spazio al contatto diretto con la natura, con la terra e con il cielo. La Terra non è una terra qualsiasi, è la terra dove tutto ebbe inizio, genere umano compreso e da qui nasce il termine Mamma Africa. Il Cielo e la natura, invece, sono mistero e spiritualità, e nulla più della musicalità esprime il mistero e la spiritualità. A titolo di esempio, basti partecipare ad una messa religiosa in qualsiasi capitale africana e si nota immediatamente che il clima è denso di musicalità, di gioia, di balli e di transe, a differenza delle messe nelle chiese europee, generalmente, molto composte e spesso un po’ tristi. I canti Gospel , ad esempio, sono una delle prove provanti che denotano questa differenza.
Pur collocato nell’estremo Far West del Continente Nero, il Marocco è un paese dalle radici profondamente sommerse in terra d’Africa. La componente nera in Marocco non è solo etnico-antropologica, ma anche fortemente musicale, come abbiamo visto in precedenza.
C.: Vedo che siamo d’accordo, quindi, sull’importanza determinante dell’ambiente e del retroscena culturale sulla formazione della musicalità umana, e non solo su quella. A proposito del libro citato sopra, c’è un concetto che amo spiegare spessissimo ai miei alunni, nelle scuole, e che riguarda proprio il ruolo che la musica, intesa nella sua globalità “melodia-ritmo-danza-cosmo-natura-collettività-funzione sociale e chi più ne ha più ne metta”, ha nelle tradizioni di quei popoli che, appunto, hanno ancora i piedi, le radici profondamente sommerse nella terra, nella loro terra d’origine. Le società fortemente urbanizzate hanno perso questa aderenza al suolo, in senso sia letterale che metaforico, e i bambini e i ragazzi difficilmente riescono ad immaginare mentalità diverse dalla propria e legate ad ambienti più naturali. Sono sicura che ci spiegherai, ora, delle belle cose che riguardano le tradizioni al femminile, e che sono sintomatiche di quanto donna e musica siano, appunto, intimamente legate al proprio ambiente e di quanto esse esprimano i vari aspetti della vita, attraverso la voce, il corpo, la pratica strumentale. Mi vengono in mente dei libri, molto illuminanti per me, di Fatema Mernissi, scrittrice marocchina che stimo tantissimo. Ma ora taccio e lascio a te la parola!
Z.: Nella lingua ufficiale del Marocco, come nella maggior parte delle altre lingue, Musica è una parola al femminile. Musica è donna. Nella mia terra si nasce già in musica: per tradizione, nell’istante in cui un bebè vede la luce, le donne presenti intonano immediatamente in coro le melodiche lodi al profeta Muhammad (p.e.b.s.d.l.) e, subito dopo, eseguono al monosono le Zgharit , ossia lo Youyou marocchino, un collettivo grido acuto di gioia che si riproduce poggiando il dito indice, verticalmente, sulla bocca e muovendo la punta della lingua. Una tradizione esclusivamente appannaggio delle donne ed è il segnale che annuncia al villaggio o al quartiere che in quella casa sta avvenendo un evento felice. Le Zgharit sono espressione di gioia e di buon augurio in ogni felice evento, nascite, circoncisioni, matrimoni, feste, promozioni ecc. In certe regioni ed in certi paesi si possono udire anche durante i funerali, ma questa è un’altra storia, degna di un capitolo a parte.
C.: Bellissimo Zidane! Quindi le antichissime tradizioni, quelle legate alla Jahiliyya e che, in parte, sono continuate anche dopo l’avvento dell’Islam, quelle per cui le donne erano da tempo immemore le animatrici della vita musicale e dove ogni evento della vita, come quelli da te citati, erano “suonati, danzati e cantati” a suon di tamburelli, nelle case come nelle piazze, ancora non si sono perse e mi fa molto piacere. So che anticamente, e parlo soprattutto dei territori dell’Hijaz, quando nasceva un bambino, le donne vicine alla famiglia lo accoglievano nella comunità cantandogli piano, nelle orecchie, i versi dell’adjan. Evidentemente ci sono varianti locali che, sicuramente, il tempo avrà favorito nel loro sorgere ed affermarsi. Mi hai fatto anche ricordare di alcuni strumenti musicali, nati come giocattoli, che mi sono stati regalati e che provengono dall’Etiopia. Spesso li ho mostrati ai bambini, nel corso dei miei laboratori sulla musica e l’intercultura, per far vedere loro come sia possibile crescere e giocare grazie ad oggetti, costruiti con materiale assolutamente naturale e completamente diverso dai giochi elettronici e dalla realtà virtuale in cui i bambini di oggi, nelle società industrializzate, sono, ahimè, abituati. Devo dire che sono rimasti sbalorditi al pensiero che dei bambini, loro coetanei, possano giocare con degli strumenti musicali, all’aria aperta! C’è anche un’altra questione che tengo molto a sottolineare perché, come dicevi tu, “musica è donna!” e questo implica aspetti dal significato assai profondo. Non solo la musica è donna ma, da tempo immemore, sono le donne le depositarie delle tradizioni dei popoli; e sono loro che, sempre per tradizione, ne sono le trasmettitrici, anche attraverso il racconto di fiabe e canti. Ti svelo un segreto, Zidane: molte delle cose che ho appreso negli anni, sulla cultura e sulla mentalità delle popolazioni arabo-islamiche, lo devo alla lettura di fiabe di vari paesi arabi e non solo. C’è tutto, dentro, dalla percezione che l’essere umano ha di sé, della collettività, del rapporto con il suo ambiente e con la sfera del soprannaturale. Per non parlare di quante informazioni ho ricavato, dalle fiabe, sulla presenza della musica persino nel quotidiano, dai nobili fino ai più umili. Certo, so bene che molto di questo s’è perso anche nel mondo arabo, come s’è perso nelle comunità rurali occidentali. È l’altra faccia di quella medaglia chiamata progresso.
Ma torniamo al Marocco. Mi viene da dire, quindi, musica e donne, donne e bambini….
Z.: Infatti! Sin dalla fanciullezza, mentre ai maschi si regalano le solite pistole, palloni e spade, alle femmine, oltre alle bambole, si regalano, o è meglio dire: si regalavano, gli strumenti musicali a percussione. Ta’rija (tamburello) e Bandir (la tammorra) sono i più diffusi. Nella festa religiosa di Ashurà, che celebra il decimo giorno del primo mese del calendario islamico, le piazze e gli angoli delle strade vengono invasi da spontanei gruppi di donne, di ogni età, che suonano insieme le percussioni, intonando ritornelli della tradizione popolare marocchina.
Tecnicamente, le ritmiche marocchine sono binarie, ternarie o quaternarie e, quindi, è impossibile eseguirle con una sola Ta’rija (tamburello) suonato da una sola persona. Hanno un senso ritmico compiuto solo se suonate da più persone. In questo particolare risiede l’elemento pedagogico ed educativo che insegna ai bambini a stare insieme e a fare lavori di gruppo. Nella tradizione musicale questa modalità ha il nome popolare di Lalla Mennana , e non è raro vedere anche dei maschi partecipare. Ogni donna ha il proprio strumento, conservato a casa con cura e che tira fuori nelle occasioni di festa.
Come in tutte le società conservatrici, il pudore collettivo e la discrezione sono una variabile onnipresente nel vivere quotidiano, tuttavia, questo non ha mai impedito l’apprendimento della danza tradizionale come parte integrante dell’essere donna in Marocco. Non saper ballare, per una donna, era quasi una menomazione, ma l’apprendimento della danza si faceva discretamente, quasi in segreto, anche per sfuggire all’opposizione dei maschi di famiglia. Anche se, oggigiorno, non mancano vere e proprie scuole di danza e non mancano i genitori che incoraggiano le figlie all’arte della danza e che, per la cronaca, non si chiama Danza del ventre, bensì Danza orientale, ma è solo una delle tante danze diffuse in Marocco.
C.: E’ vero, conosco diverse danzatrici marocchine e tunisine, e mi hanno raccontato dei comportamenti contraddittori che ancora esistono, nella società di quei paesi, nei confronti di donne danzatrici. Capita, diciamolo pure, che le famiglie non vedano di buon occhio l’eventuale matrimonio del proprio figlio con una danzatrice. E questo nonostante il fatto che le donne che conosco, come molte altre loro colleghe, pratichino la danza orientale come vera e propria forma d’arte, priva di volgarità e di esagerazioni anzi, devo dire che si tratta di persone che hanno compiuto studi seri per recuperare alla danza e alla sua pratica un significato ed una valenza culturale degna di grande stima. Purtroppo, mi dispiace dirlo, alcune di loro hanno subito pressioni e minacce molto pesanti, e non è stata una cosa bella né onorevole per chi lo ha fatto, qualunque sia stato il motivo addotto. Anzi, mi scuso se mi dilungo ma non posso tacere su questioni così importanti e delicate, per cui consiglio vivamente la lettura del libro del grandissimo El Ghazali, “Il concerto mistico e l’estasi”, Il Leone Verde, 1999. Leggendo questo libro, si capisce molto riguardo ai pregiudizi e le ostilità di alcune parti del mondo arabo nei confronti della musica e di ciò che, attraverso la musica, trova espressione. La musica, il suo potenziale potere seduttivo, la donna e il suo corpo, peggio che mai il connubio musica/donna/corpo femminile/vino, inutile dirlo, sono stati e sono tuttora i terreni scivolosi sui quali si continua a cadere. Una sintesi di questo libro, e non lo dico per farmi pubblicità, si trova anche nel mio “Uno sguardo musicale sul mondo arabo-islamico”, MMC Edizioni, 2006, insieme ad una densa parte dedicata proprio alla donna nella società arabo-islamica e al rapporto donna e musica, nella storia.
Uh, Zidane, prometto che taccio di nuovo e ti ridò la parola!
Z. Indegna la coscienza e fa male al cuore sentirti raccontare lo sgradevole aneddoto capitato alle tue amiche danzatrici, Cinzia, tuttavia non sorprende. Si sa, l’agitato o l’oscurantista di turno non manca in nessun angolo del pianeta. Dipende con quali strumenti, culturali e legali, la società e lo stato tutelano le proprie cittadine. Per fortuna il Marocco vanta una delle più evolute e moderne legislazioni del mondo arabo a tutela dei diritti della donna, si chiama Moudawana ed è la nostra punta di diamante. Non è certo la perfezione, ma siamo un popolo giovane e dinamico, in continuo processo di perfettibilità. Chi non ama l’arte, la musica o la danza è libero di non visitare musei, di spegnere la tv e di non ascoltare c.d., basta che l’esercizio della sua libertà non invada lo spazio delle libertà altrui. Non è una cosa perfetta, ma è la cosa più bella che l’uomo abbia mai inventato, a mio parere, si chiama Democrazia.
Aldilà delle presunte motivazioni pseudoreligiose che alcuni avanzano, l’attitudine dei maschi che si oppongono a che le proprie figlie, sorelle o mogli apprendano a danzare o a cantare, ha motivazioni meramente socioculturali. Il termine Shikha, che nella sua nobile origine significa Cantautrice, a partire dagli anni sessanta, ha assunto in Marocco una valenza sociale negativa e viene tutt’oggi usato soprattutto per indicare quei gruppi femminili di cantanti e ballerine che intrattengono gli uomini nei night club o nelle feste al maschile, attraverso canti di dubitabile qualità artistica e che non mancano di atteggiamenti e di testi volgari, da farle apparire più come delle entraîneuse che delle vere artiste. Da qui nasce la storica ambiguità e la conseguente paura della deviazione sociale da parte di molti uomini.
Nella sua sana accezione, il termine Shikha, non è altro che il femminile di Sheikh, il saggio anziano o il maestro di musica. Le vere Shikhat (plurale di Shikha) sono molto amate ed apprezzate rappresentanti del patrimonio musicale marocchino. Esse sono la centralità del legame di ogni marocchino con la sua identità regionale, nonché, rappresentano il vero trait d’union tra il suo passato rurale e il suo presente cittadino o migrante.
Araba o berbera che sia, ogni regione del Marocco ha il suo tipico e secolare patrimonio musicale delle Shikhat . Il genere musicale viene chiamato generalmente Shaabi (musica popolare o tradizionale), ma sotto questo appellativo si raggruppa un vero e proprio mosaico variopinto di canti, sonorità, balli e strumenti musicali. Dal canto Aita delle pianure rurali arabe, ai canti Ahidus dei Shleuh, o berberi del sud, passando per i canti Reggada e Aarfa dei berberi del Rif, catena montuosa del nord, alla Gadra dei berberi del Sahara e fino ai canti dei berberi Tamazigh, nel centro del paese, sono solo alcune delle più celebri correnti musicali dei Shikhat in Marocco.
Oltre ad un retroterra fatto di una moltitudine di gruppi di Shikhat , tradizionali e moderne, più o meno famose, quelle più celebri sono delle vere e proprie Dame nel loro genere, apprezzate in tutto il paese e anche oltre. Alcune non ci sono più o si sono ritirate per l’età, ma i loro dischi le sopravvivono tutt’oggi e le loro canzoni sono spesso riproposte nelle feste ed interpretate da altre più giovani. Ci sono nomi che tutto il Marocco conosce: Hajja Hamdaouia, Shikha Kharboua, Fatna Bent El Houcine, Fatema Tihihhit, El Hammounia ed altre.
Il genere musicale dei Shikhat non è privo di figure maschili, anche storiche e famose, ma è prevalentemente una musica al femminile.
Cambiando genere musicale, ricordiamo che anche la musica Arabo-andalusa in Marocco si contraddistingue con orchestre classiche completamente al femminile, come abbiamo visto in una intervista precedente. Soprattutto nel genere denominato Tarab Al-Gharnati , che ha origini nella Granata del periodo andaluso e che oggi si può apprezzare soprattutto nelle città di Tangeri e Tetouan.
Persino la Vague di Nass El Ghiwane, nata negli anni settanta e che abbiamo esplorato nella puntata precedente, conta famose figure femminili, basti ricordare Saida, della famosa pop band di Lemchaheb, e Sakina che esordì con la Band di Jil Jilala. In onor del vero, queste due donne furono tra coloro che vinsero coraggiosamente la famosa resistenza maschile nelle loro famiglie, tipica di quelli anni. Sulla scia dei Nass El Ghiwane ci fu persino una band, completamente al femminile, chiamata Bnet El Ghiwane , Le Donne del Ghiwane, ma non ebbe molta fortuna artistica.
Nella musica classica e nella musica leggera marocchina, da sempre, la scena è divisa equamente fra grandi nomi femminili e maschili: Bahija Idriss, Naima Samih, Aziza Jalal, Samira Ben Said, Majda Abdelwahab, Fadwa El Maliki, Latifa Raafat, Raja Ben Lemlih, Karima Skalli e Saida Fikri sono solo alcuni dei nomi indelebili dello scenario musicale marocchino, ma sicuramente ho fatto il torto di dimenticarne altre. Oltre a queste, come del resto in Italia, la piazza musicale è ricchissima di cantanti donne, da risultare impossibile conoscerle tutte. Cito, a titolo di cronaca, la giovanissima Dounia Batma, dell’artistica stirpe dei Batma, e che ultimamente sta raccogliendo importanti premi e riconoscimenti nel mondo arabo.
Ma anche nella Word Music, nel Rap marocchino e nella musica Ray le giovani marocchine si stanno ritagliando importanti spazi di celebrità, come non mancano Maestre marocchine delle orchestre sinfoniche. Globalizzazione oblige, ma sarebbe auspicabilmente obbligatorio anche non perdere di vista e valorizzare le preziose ricchezze del patrimonio musicale marocchino, colpevolmente a rischio di estinzione.
C.: Grazie Zidane, per la tua sempre impagabile pazienza e generosità nel regalarci queste perle di conoscenza. È vero, è impossibile citare tutti e, inevitabilmente, si rischia di dimenticare artiste e artisti. È pur vero che questi articoli hanno anche lo scopo di stimolare curiosità e ulteriori ricerche e chi legge può, ad esempio cominciando dai nomi dei generi musicali da te citati, cercare autonomamente ulteriori musicisti, sia donne che uomini, rappresentativi in quegli ambiti.
Ecco dei link, comunque, che tu ci consigli per ascoltare brani relativi agli argomenti trattati in questo articolo. Zidane, ce li vuoi commentare tu stesso?
Z.: Certo, con piacere! Nel primo video, la Shika Hajja Hamdaouia, un’istituzione della musica popolare negli anni ’70, canta un suo brano insieme al giovane cantante Bouchnak, nel segno della continuità.
In questo secondo video, invece, un famoso gruppo marocchino di Rappers, “Fnair”, canta un bellissimo pezzo dedicato alla Moudawana, la famosa legge marocchina sui diritti della donna. L’ho voluto soprattutto perché riproduce perfettamente il famoso ritmo ternario, detto Lalla Mennana.
Sempre nel segno della continuità, nel terzo video, la giovane Dounia Batma, vincitrice di Arab Idol e di altri importanti premi musicali arabi, canta una canzone di un’altra grande marocchina degli anni ’60, di nome Bahija Idriss.
C.: Grazie mille! Approfitto per citare, se sei d’accordo, la cara e brava Sakina Al Azami, cantante marocchina e da qualche anno residente in Italia, che conosco personalmente e che ho intervistato un po’ di tempo fa, per questo blog. Un saluto affettuoso a lei, a tutte le donne marocchine e non solo, e viva la musica, per le donne come per gli uomini.
Z.: Concordo con te e partecipo con piacere al tuo omaggio reso alla nostra talentuosa amica Sakina Al Azami e colgo la gradita occasione per omaggiare le numerose artiste marocchine d’Europa, facendo un grande in bocca al lupo a Malika Ayane, visto che siamo in pieno Festival di Sanremo.
C.: Un carissimo saluto a tutti, quindi, e arrivederci alla prossima puntata.
Cinzia Merletti