Si è svolto nei giorni scorsi a Roma, presso la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” un incontro dal titolo “Donne negate: voci dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Iran”, curato dalla cattedra “Donne e cristianesimo”.
La tavola rotonda, moderata dalla giornalista Marisa Paolucci, ha visto gli interventi di donne provenienti da Afghanistan, Siria, Sahrawi e Iran, focalizzati sulla condizione femminile nei paesi in guerra.
Particolarmente toccante la testimonianza di Sakina Hosseini, avvocata, già membro del Consiglio Provinciale di Herat e responsabile della commissione Gender Education Peace keeping di Herat. Sakina, insieme alla figlia Fatima, è arrivata in Italia a fine 2021, dopo la ritirata degli americani avvenuta nell’agosto dello stesso anno, a seguito della quale il paese è di fatto tornato sotto il controllo dei talebani. Per le sue attività politiche, intraprese all’indomani dell’assassinio del marito, Sakina è diventata una perseguitata dal regime dei talebani e l’unica via di salvezza era lasciare il paese. Il suo racconto della situazione delle donne in Afghanistan, tornate nell’invisibilità, ha suscitato molta commozione, la stessa che traspariva dalla sua voce, più volte incrinata dall’emozione nel ricordare le tremende esperienze vissute in prima persona e con il pensiero rivolto alle donne rimaste, costrette a subire una violenta repressione da parte del regime. Sakina ha espresso la sua gratitudine all’Italia, che l’ha accolta e che le permette di far sentire la propria voce affinché la situazione del popolo afgano non finisca nel dimenticatoio.
In collegamento dai campi profughi di Tindouf in Algeria è arrivata la testimonianza di Fatima Mahfud, rappresentante in Italia del Fronte Polisario. Fatima ha ripercorso la travagliata storia del popolo sahrawi, focalizzando sulla condizione femminile che, a differenza di altre situazioni, appare emancipata in un contesto matriarcale in cui le donne, per esempio, sono le depositarie della gestione dell’educazione dei figli. E come sostenuto da Fatima, educare i figli significa educare la società.
Un’altra testimonianza appassionata è quella arrivata da Asmae Dachan, giornalista italo-siriana, che ha illustrato la situazione del popolo siriano, stremato dalla guerra, dal terrorismo e in ultimo dal tremendo terremoto che ha colpito il paese. In questo terribile contesto sono proprio le donne a pagare il prezzo più alto. Donne costrette a lasciare il proprio paese, a vivere una diaspora dura e faticosa, nella speranza di poter un giorno tornare per ricostruire non solo le mura devastate da anni di guerre, ma il tessuto sociale lacerato dai conflitti e dall’emigrazione forzata.
L’ultimo intervento che ha animato la tavola rotonda è stato quello dell’iraniana Leila Karami, studiosa femminista attualmente docente presso il Dipartimento di studi sull’Asia e l’Africa mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. La Karami ha sintetizzato l’attuale situazione politica e sociale del suo paese che vive ormai dal settembre 2022 una serie di proteste scaturite dalla morte di Masha Amini, la giovane curdo-iraniana, deceduta in una stazione di polizia in seguito al fermo effettuato dalla polizia morale perché indossava in maniera scorretta il velo islamico. Particolare attenzione è stata posta sulla vicenda dell’uso dei gas tossici nelle scuole femminili, che evidenzia una impronta profondamente misogina nella gestione del potere in Iran. Una situazione quella della Repubblica islamica il cui sviluppo appare di difficile interpretazione, anche alla luce della violenta repressione che il regime degli ayatollah sta mettendo in atto contro i manifestanti.
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