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Q-L-M, strumenti per scrivere

(Biblioteca di Alessandria)
(Biblioteca di Alessandria)
(Biblioteca di Alessandria)

“Da quando tengo in mano la penna – no, da quando la penna mi tiene”: la poetessa russa Marina Cvetaeva è riuscita a condensare in un rigo ciò che è in grado di compiere qalam, penna in arabo. Calamo, ciò che è strumento per scrivere. In arabo troviamo qalam nientemeno che nella prima Sura rivelata da Dio nella caverna del monte Hira’ (La Mecca) al profeta Mohammad: vi si dice che Dio ‘allama bi-l-qalami’, cioè ha istruito tramite il calamo, e proseguendo vi si legge che così ‘ha insegnato all’essere umano ciò che ignorava’. (Sura del grumo, Il Corano, traduzione di Gabriele Mandel, UTET). “Le più antiche testimonianze arabe scritte sono su papiro, pelli e òstraka, cioè su frammenti di vaso, e talvolta su scapole di animali”: in Storia della Letteratura Araba Classica (cap. 4, p. 80) Daniela Amaldi ripercorre le tappe compiute dagli strumenti per la scrittura (la carta ne è il coronamento), su cui nelle sue diverse forme qalam, il calamo, ha cercato di volta in volta di far esprimere chi lo impugnava. “Senza dilacerarsi o rintanarsi negli umori dell’ombra, né segnalarsi clamorosamente, la parola si veste spogliandosi, e tu puoi meditarla e non pensarvi, come quando si canta a bocca chiusa”: i tratti di qalam, le sue deviazioni e pause, le ritrovo in questa espressione di Carmelo Bene, e in quella domanda che apre prospettive non considerate prima, che Jack Kerouac pone quasi a sé stesso: “Parole, parole, parole… E A CHE SERVONO LE PAGINE BIANCHE?”. Perché spesso ci si chiede, chissà a cosa servirà mai scrivere. Ma per uscire da questa trappola la domanda seguente dovrebbe essere: e allora non scrivere a che serve? Come i versi della poetessa polacca Wisława Szymborska in cui afferma: “Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne”. Iosif Brodskij provò a esprimere la condizione della poetessa russa Anna Achmatova, il cui cognome era preso a prestito dalla bisnonna, (il vero nome era Anna Gorenko), riflettendo sui cambiamenti che apporta l’uso di qalam, sulla difesa che rappresenta. “Nessuna Anna Gorenko saprebbe resistere. Anna Achmatova vi riuscì”: questa donna, vuole dirci Brodskij, fu messa in grado da qalam, la sua penna, ad affrontare qualcosa che altrimenti l’avrebbe sopraffatta. Perché quando teneva in mano la penna, e da Anna Gorenko diventava Anna Achmatova, quello strumento così piccolo sapeva trasformarsi nella più resistente delle armature. Il senso che si ha di qalam nel Corano è insieme di scrittura e lettura, qira’, perché ciò che è stato scritto è stato prima ascoltato, e dovrà essere letto ad alta voce perché il messaggio venga a sua volta ascoltato dagli altri. In arabo qalam mi dà perciò la consapevolezza che scrivere è anzitutto aver ascoltato, e che ciò che viene scritto è così silenzioso da sfiorare gli ultrasuoni ed essere percepito in modi di cui non ci accorgiamo subito: l’orecchio ancora non ci arriva. Ma poi un giorno quei tratti incerti e nervosi, il dorso del mignolo macchiato d’inchiostro per esser passato sopra le righe non ancora asciutte, ritornano alla loro dimensione sonora, vibrano, si rivelano vivi. E cosa che mai avremmo immaginato: necessari per qualcuno. Allora viene da dire, in un messaggio avvolto intorno a qalam come dentro una bottiglia: Impugna la matita-conchiglia e trascrivi il mare… Per chi non l’ha sentito mai.

Claudia Avolio

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  • … la parola si veste spogliandosi. E tu puoi meditarla e non…

    … la parola si veste spogliandosi, e tu puoi meditarla e non…

    per correttezza non c’è il punto ma una virgola; in questi casi conta.