O in arabo non esiste, o esiste solo in arabo!

di Fahd ‘Amir al-Ahmadi. Jaridah al-Riyadh (13/01/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

Il modo in cui cambiamo aspetto dopo esserci tagliati i capelli: come si dice in arabo? E quando vediamo qualcuno e ci sembra un nostro amico, ma poi ci accorgiamo che non era lui: come lo esprimo in arabo? Per quanto ne so io, non esistono modi per dirlo. Però i giapponesi hanno delle espressioni ad hoc! Quando esci dal barbiere e ti guardi allo specchio puoi esclamare: Age-otori! E se scambi uno sconosciuto per un tuo amico, per scusarti puoi dire che si è trattato solo di Bakku-shan.

Allo stesso tempo, se in arabo non esistono certe espressioni, la lingua ne possiede alcune solo sue che è difficile trovare in altri idiomi. Ecco tre esempi:

– la parola taraba, che indica uno stato d’animo di leggiadria e gioia, magari dopo aver ascoltato una certa canzone a ritmo sincopato di quelle che si producono in Occidente…

– la parola tatajafa, con cui ci si riferisce a una torsione nello spazio che fa entrare in contatto con la terra, come nel versetto del Corano che recita “Si giravano sui loro fianchi per invocare il Signore, con timore e speranza” (trad. Gabriele Mandel, Sura della prosternazione, v. 16)

– la parola laka’a che indica un misto di meschinità e stupidità.

Se poi prendiamo in considerazione l’arabo colloquiale, nel dialetto siriano troviamo un’espressione d’amore particolare: ta’abiruni, cioè taqbiruni, col senso di “mi seppellirai, vivrai più di me”! E in Arabia Saudita sentiamo spesso le parole hayat o mahayta, che poi ho scoperto essere anche nel dizionario, e si usano per indicare l’atto di gridare e una situazione di trambusto.

Spesso la ricchezza lessicale, così come la scarsità, è il risultato delle condizioni in cui la lingua è parlata, con la sua geografia e la sua cultura. L’ambiente desertico del mondo arabo per esempio ha fatto sì che le popolazioni abbiano dato più di 443 nomi al deserto, ma solo 3 al ghiaccio. Rispetto ai loro costumi, i popoli del deserto hanno più di 72 parole per descrivere l’atto sessuale, ma nessuna che esprima il senso d’amore che si prova passando le dita tra i capelli di tua moglie mentre ti siede accanto. Be’, la lingua brasiliana ha una parola per dirlo! Si dice Cafune.

Se storicamente gli arabi sono stati più inclini alla poesia e alla prosa che non alle arti figurative, si può capire perché considerino le più belle poesie ispirate ai poeti dai… demoni! Allo stesso modo, gli italiani e gli spagnoli hanno una storia ricchissima d’arte, e questi ultimi credono che siano i pittori (e non i poeti) ad essere ispirati dai demoni, e chiamano quest’essenza duende.

Queste lingue, poi, non possiedono parole come jagel (filippino), che indica il desiderio di strapazzare qualcuno che risulta molto tenero (come un bimbo che muove i primi passi), o jianshi (cinese) con cui si chiama l’atto di concedere un dono a dei funzionari senza richiedere un servizio. E ancora baliente (ghanese), che si usa quando chi mangia qualcosa di troppo caldo spalanca la bocca o salta sulla sedia. La mia preferita, comunque, che non ha eguali nella lingua araba, è la parola congolese yanjabena: significa che la prima volta ci passo sopra, la seconda ti perdono… Ma alla terza ti faccio passare un brutto quarto d’ora!

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