Di Jebril el-Abadi. Asharq al-Awsat (18/07/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.
L’intervento straniero in Libia ha restaurato la presenza del colonizzatore, dietro pretesto della ricerca di una soluzione alla crisi. Nel caso di America e Gran Bretagna, il loro coinvolgimento nella crisi libica è stato influenzato da un pragmatismo machiavellico, il più delle volte accentuato da una certa schizofrenia politica, conseguenza di informazioni confuse, fuorvianti e offuscate ai servizi di intelligence, i quali hanno così contribuito a rimettere in moto i gruppi dell’Islam politico, all’insediamento del terrorismo e alla legittimazione delle milizie, anziché trovare una soluzione.
L’impegno congiunto americano e britannico durante la cosiddetta “democrazia condivisa” ha messo sullo stesso piano l’autorità del diritto alle elezioni democratiche e quello di capovolgerle, aggravando la crisi in corso e generandone altre, specie in seguito ai molteplici interventi di interesse straniero.
Purché si giunga ad una soluzione, è necessario ripristinare un dialogo nazionale, in Libia e non al di fuori, entro costanti nazionali che rispettino una scelta democratica, ma soprattutto lontano da Ginevra che non è riuscita a risolvere nessuna questione araba attuale, come ad esempio quella palestinese. La soluzione deve arrivare dalla Libia, come avvenuto per il dialogo di Ghademes, quando ci siamo riuniti intorno allo stesso tavolo e non in stanze separate, come a Skhirat (Marocco). Dal mio punto di vista, tale conferenza è stata un fallimento; anzi è apparsa piuttosto difficile a causa dell’assenza di qualsiasi rappresentanza internazionale, che ha impedito il passaggio alla fase di attuazione dei risultati.
Fallimentare è stata anche la missione delle Nazioni Unite, prima con Tareq Mitri e il suo progetto di “libanizzazione della Libia”; poi con Bernardino Léon, che ha adottato invece l’approccio del “bastone e la carota”, portando le parti contrarie al dialogo a discutere in stanze separate, alla ricerca di un governo di “intesa” impossibile da realizzare, anche perché costretto a muoversi in uno spazio limitato, dovuto alle molteplici invasioni straniere intente a confondere e stabilire nuovi confini. L’errore commesso è stato trattare la crisi libica come una semplice pagina del suo mandato, procedendo con menzogne e inganno, fino all’arrivo del suo successore, Martin Kobler, sul quale pesa il fallimento in Afghanistan e Iraq, mostrandosi non del tutto neutrale al conflitto.
In altre parole, credo che per vincere il dialogo è necessario riportare il dibattito in Libia e avanzare con serietà verso un dialogo nazionale in cui ci si impegni ad ascoltare l’altro come primo passo verso un accordo definitivo. Quest’ultimo non deve per forza accordarsi alle visioni di tutti i partecipanti, ma è necessario che tutti l’accettino. Noi, in qualità di libici, possediamo una volontà nazionale e non permetteremo la formazione di un governo mandatario estero.
Jebril el-Abadi è uno scrittore e ricercatore libico.
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da quasi 5 anni (in dicembre 2011 i Libici hanno costituito il primo governo nazionale e nel 2013 hanno fatto libere votazioni), i Libici costituiscono governi, hanno votato e discutono liberamente. Risultato? Frammentazione, milizie e caos.
Tra 5 anni – temo e se non sopravviene una guerra civile – la situazione resterà invariata oppure, prima, un cosidetto ‘uomo forte’ prenderà le redini del Paese con dietro (masterminded in inglese) un – Paese straniero.
Previsione ‘fosca’ di un Italiano residente in Libia da 19 anni
Aldo Dotti, dato che vivi in Libia, quando la smetteranno i libici di mandarci clandestini?