Di Laurine Mohammed. Al-Araby al-Jadeed (17/07/2016). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.
Il movimento pacifico in Siria ha avuto inizio per la mancanza, protrattasi quarant’anni, di una vera e propria vita politica e sociale: si era unanimemente d’accordo sull’assenza di un’effettiva società civile o di partiti politici. Malgrado il fatto che l’obiettivo di recuperare questa vita fosse una parte fondamentale del movimento di rivendicazioni, la profondità della divisione e della polarizzazione tra sostenitori e oppositori del regime ha ben presto trasformato il concetto di società civile in un reato e in un’accusa mostruosa.
Con il protrarsi della crisi, il peggioramento della situazione, l’accumularsi di effetti negativi come le perdite umane, la distruzione delle infrastrutture, l’emigrazione forzata all’interno e al di fuori del paese, il principio di “società civile”, tradito e classificato come “di serie C”, si è improvvisamente trasformato in una soluzione in cui molti hanno trovato opportunità di guadagno.
Questa improvvisa trasformazione verso l’accettazione della “società civile” non è stata dovuta alla consapevolezza o alla comprensione dell’importanza del concetto stesso; non si è cercato di adoperarsi per trovare una soluzione alla refrattarietà politica o per allentare la tensione, si è trattato piuttosto di una mera trasformazione pragmatica per assicurare interessi finanziari e a volte politici.
In tal modo la società civile è nata deformata due volte: innanzitutto come entità che dei principi o dei valori della società civile porta solo il nome propagandistico, e in secondo luogo perché ha dato origine a due gemelli, una società civile “di oppositori” e l’altra “di sostenitori”, che si sono propagate come due ampie reti. Non c’è da sorprendersi che abbiano fallito nel risolvere la crisi, originatasi per effetto della polarizzazione politica. Era naturale e prevedibile che non riuscissero ad abbracciare tutte le divergenze politiche e a colmare il divario fra le parti in lotta. Pertanto il principio che poteva far uscire il paese dalla palude della guerra, è servito solo come strumento per farla proseguire e a volte addirittura incitarla.
Nel quadro generale della Siria di oggi sembra che ci sia qualche speranza, in quanto la polarizzazione politica si è eclissata dietro le gravi crisi umanitarie, sia all’interno che al di fuori del paese. Purtroppo l’allineamento politico (rivoluzionario/antirivoluzionario) continua a essere un criterio troppo grande, a dimostrazione che la società civile “dei sostenitori” non accetta di lavorare con quella degli “oppositori”, né individualmente, né come associazioni o istituzioni, e viceversa.
Questa speranza si fonda sull’augurio che ci siano istituzioni siriane costituite da giovani in grado di andare oltre qualsiasi allineamento politico o contesto ideologico e lavorare con professionalità per attrarre sostenitori, oppositori e neutrali di ogni luogo in Siria sotto il nome di una vera “società civile” che rifiuta di schierarsi politicamente ma non si sottrae dal prendere posizione per le questioni che riguardano i civili e i loro diritti legittimi e getta ponti fra di loro ovunque si trovino.
Laurine Mohammed è un’attivista civile siriana residente in Libano.
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