Di Shafiq Nazim al-Ghabra. Al Hayat (04/06/2015). Traduzione e Sintesi di Laura Giacobbo.
Quando grandi fasi di cambiamento si manifestano nelle società, è difficile opporsi ai suoi regimi e ciò si trasforma, in parte, in uno scontro su come adeguarsi a tale cambiamento. La società entra, così, in periodi di distruzione parziale o totale, esprimendo la rabbia che ne deriva. Quindi, così come è caduta l’Unione Sovietica, fondata su basi solide, cadono le posizioni arabe nel fango del cambiamento e delle sue contraddizioni.
In questo scenario, oggi, chi subisce l’ingiustizia vendica l’oppressione. Per questo la violenza di Daesh (ISIS) non è scaturita da un vuoto: la violenza jihadista non è emersa da mali innati nella religione o nella personalità araba, ma a seguito di posizioni politiche ed economiche. La violenza araba, con la sua follia, è una reazione alla marginalizzazione, all’umiliazione, alla debolezza del dialogo e dell’istruzione. Essa è anche il frutto di politiche ufficiali che non hanno prestato molto interesse al progetto nazionale nella costruzione dello Stato, ma che hanno spinto alla sua disintegrazione e della classe media crescente. Malattie radicate da decenni, malattie che si fondono con la nostra realtà e che rimarranno in questo stato nei diversi gradi e livelli.
Dall’inizio del 2011, il vecchio regime arabo è caduto, ma non una volta sola. È caduto da più di un decennio per cause interne, popolari, politiche, regionali e internazionali. Non era preparato al futuro e non ha contato sulla propria forza e sui propri strumenti. Inoltre, ha trascurato la propria intelligenza e il proprio sviluppo ed è dipeso molto più dall’Occidente che dal popolo e dal coraggio.
Il sistema arabo è all’impasse. Esso ha esercitato un controllo totale attraverso la corruzione e l’illusione della forza che hanno danneggiato lo sviluppo e le categorie deboli e centrali nella società.
Se guardiamo agli eserciti arabi, ci accorgiamo che sono in grado di fermare questa distruzione per un periodo di tempo. Sono eserciti tradizionali, che dominano le economie degli Stati. Mentre paesi come la Gran Bretagna e la Francia vietano ai propri eserciti di interferire nel controllo e nell’economia, gli eserciti arabi godono di benefici che li separano dal popolo e li rende meno propensi al sacrificio. La loro debolezza e fragilità potrebbero abbatterli, proprio come è avvenuto a Ramadi.
Le visioni si scontrano in questo grande vuoto. Lo Stato Islamico, che sta cercando di controllare le terre in Siria e in Iraq si trova di fronte ad una forte opposizione popolare armata. Anche l’Arabia Saudita sta cercando di riempire il vuoto nella regione del Golfo, dopo i “pacchetti tempesta”, mentre gli Houthi, in Yemen, stanno cercando di imporre il loro punto di vista in una situazione sempre più complessa. Le diverse forze politiche arabe stanno tentando di realizzare un progresso delle proprie prospettive.
Una parte degli arabi è convinta che la via d’uscita richieda un approccio politico integrato, che permetta di emergere e di esprimersi. La via d’uscita è ancora lontana, le guerre continueranno e gli scontri passeranno come pure sono passate le guerre nel continente europeo, che hanno lasciato distruzione e morte. Una mattina tornerà il sereno e la via d’uscita sarà rivelata in modo democratico e umano, ma non prima di aver pagato il prezzo della tirannia, che porta all’odio e alle barbarie.
Shafiq Nazim al-Ghabra è professore di Scienze politiche all’Università del Kuwait.
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