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Il governo della Tunisia sotto assedio per le mancate riforme

di Stefano Maria Torelli

Il governo provvisorio di Tunisi continua ad essere tenuto sotto assedio dalle forze di opposizione – laiche e islamiste – e dalla società civile, per via della situazione socio-economica del Paese, ritenuta ancora non soddisfacente da gran parte della popolazione tunisina. In effetti, a più di un anno e mezzo della caduta di Ben ‘Ali e a quasi un anno dalle elezioni di ottobre 2011, che sancirono la vittoria di al-Nahda come primo partito del Paese, le condizioni generali della Tunisia sembrano ancora non essere risollevate, nonostante le promesse e i proclami fatti dal governo in carica.

Proprio per questo, il 7 settembre sono scese in piazza migliaia di persone a Piazza al-Kasbah, a Tunisi, per protestare contro le mancate riforme e incitare il governo a fare di più per il sociale e per migliorare la situazione economica del Paese. La manifestazione è stata convocata nell’ambito della campagna di un gruppo di giovani attivisti chiamata “Ekbas” (letteralmente “stringere, rafforzare”, in riferimento alle pressioni fatte al governo e all’adempimento agli ideali delle rivolte), di cui fanno parte molti giovani di al-Nahda. Quest’ultimo elemento fa riflettere sul clima di insoddisfazione che regna a Tunisi, se si pensa che lo stesso al-Nahda, insieme ad Ettakatol e al Congresso per la Repubblica, è parte del governo in carica, contro cui si sono rivolte le proteste.

Tra le richieste fatte dai manifestanti, vi sono quelle di escludere dalla vita politica e dai media gli ex appartenenti al RCD, il partito di Ben ‘Ali, per almeno dieci anni. Inoltre, i manifestanti minacciano altre proteste se non saranno al più presto messe in atto le riforme in ambito giudiziario, del Ministero dell’Interno e del sistema mediatico e di informazione. Al-Nahda, dal suo canto, tenta di mitigare le proteste tramite promesse di nuove riforme e anche alcuni gesti concreti. Il giorno prima della manifestazione di Piazza al-Kasbah, infatti, il partito islamico al governo aveva annunciato che i suoi 89 deputati all’Assemblea Costituente avrebbero donato l’equivalente di 6 giorni di stipendio alle casse dello Stato, oltre a donare 1.000 dinari a testa (circa 500 euro), da destinare a iniziative caritatevoli, come comprare computer per le scuole primarie di aree periferiche del Paese. Evidentemente non è bastato a placare la rabbia dei giovani tunisini.