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“Otto mesi a Ghazzah Street” di Hilary Mantel

Hilary Mantel
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

“Nonostante il suo scetticismo, e la sua esperienza, in mente continuavano a girarle delle immagini artificiose: le tende nere al tramonto, il richiamo del muezzin nell’aria tersa del deserto, il sapore del cardamomo, la brunitura dei bricchi puntuti del caffè, il bollore della sabbia”.

Sono le immagini che Frances, cittadina inglese di professione cartografa, rimescola nella sua testa mentre è in viaggio verso l’Arabia Saudita dove raggiungerà il marito Andrew che da qualche mese si è trasferito a Gedda per motivi di lavoro. Ma quella che la accoglierà sarà una terra tutt’altro che ospitale verso gli stranieri, quell’esotismo richiamato dal muezzin e dai colori infuocati del deserto si riveleranno ben presto tasselli di un puzzle complicato che non lascia spazio ad una vita normale, ancor di più per una donna.

Hilary Mantel otto mesi a gazzah streetHilary Mantel in questo suo romanzo, edito recentissimamente in Italia da Fazi Editore, racconta l’esperienza di una donna occidentale che di colpo si ritrova a dover fare i conti con il divieto di uscire da sola per strada, con codici di abbigliamento prestabiliti, con la segregazione in casa e con i sotterfugi, le menzogne e i misteri di un paese dove nulla è certo, dove tutto si muove come le dune dei suoi deserti, dove persino i riferimenti geografici, come le strade, la linea costiera, le abitazioni mutano repentinamente, lasciando stordito e incerto lo straniero che vi si ritrova a vivere.

La protagonista Frances ingoia a malincuore i divieti che le vengono imposti in quanto donna, anche dal marito e da tutto l’entourage della compagnia per la quale Andrew lavora. Lo status di straniero non regala privilegi in questa terra, anzi per alcuni aspetti mette ancora di più a rischio la salute psico-fisica e la stessa vita. Come ha modo di sperimentare Frances che muovendosi come un investigatore fiuta le tracce, trova le prove e tenta di farsi sentire ma si accorge presto che tutto è vano, tutto è inutile in quell’universo fatto di visi velati, di porte sbarrate, di muri di cinta e vetri delle automobili oscurati.

Il ritratto della città di Gedda è desolante, nulla dell’esotico immaginario legato al Medio Oriente vi si ritrova, nemmeno il colorato e frenetico suq riesce a suscitare interesse ed entusiasmo. La cappa di calore e di afa che perennemente staziona sulla città, le sue strade e autostrade che si perdono in una periferia affollata di costruzioni innalzate nel giro di un fine settimana, la polvere che invade i più nascosti meandri, le continue molestie che le donne ricevono se camminano da sole. “Deve piacermi, pensò. Tenterò di farmela piacere. Quando tutti hanno un’opinione negativa di un posto, viene il sospetto che alla fin fine qualche pregio quel posto lo debba avere” è una delle prime riflessioni che la protagonista fa fra se e se, rendendosi presto conto che in quel caso le sarà davvero difficile trovare anche un solo, piccolissimo aspetto positivo.

E per poter sopravvivere ai muri, alle serrature a doppia mandata, ai veli la protagonista tiene un diario nel quale appunta tutte le sensazioni che prova giorno dopo giorno, utilizzando i riferimenti al calendario islamico e l’indicazione dei mesi nella traslitterazione dall’arabo. Anche il diario ben presto però diventerà un elemento di inquietudine, perché potrebbe rivelarsi fonte di sospetti e di incriminazioni se cadesse nelle mani sbagliate. Frances in uno slancio di solidarietà femminile riesce a stringere amicizia con due donne che vivono nel suo stesso condominio, Yasmin e Samira, e con loro intreccia conversazioni sugli usi, sulle tradizioni, cercando di confutare le loro tesi sulla naturale sottomissione delle donne nei confronti degli uomini, ed enfatizzando invece gli aspetti della cultura occidentale che spingono verso l’uguaglianza fra i sessi, verso l’emancipazione delle donne. Ma anche questi pochi e brevi momenti di confronto al femminile presto cesseranno, inghiottiti nel buio dei sospetti e dei divieti.

Il romanzo, in parte autobiografico, si tinge presto di giallo e conduce il lettore in una lettura a tratti asfittica, quasi a sentire fisicamente quell’afa appiccicosa addosso, quella chiusura culturale e fisica, anelando una via d’uscita che diventa anch’essa fonte di ansia e angoscia, dal momento che uscire dal Regno non è cosa poi così facile. Difficile entrarci e altrettanto difficile uscirne.