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Yemen: una guerra che non si deve perdere

Yemen

Di Raghida Dergham. Al-Hayat (19/06/2015). Traduzione e sintesi di Paola Conti.

I negoziati sul nucleare tra Iran e i Paesi del gruppo 5+1 potrebbero protrarsi oltre la fine del mese corrente, poiché le due questioni fondamentali che suscitano controversie non sono ancora state trattate, ovvero: la verifica della autenticità della promessa di Teheran di non costruire armi nucleari e la reintroduzione di sanzioni nel caso non tenesse fede al suddetto impegno.

Il presidente americano Obama e la guida iraniana Ali  Khamenei sono risoluti nel perseguire il successo dell’accordo, ognuno per le sue ragioni. Gli altri Paesi (Russia, Cina, Germania, Gran Bretagna e Francia) potrebbero dissentire qua e là, su questo o quel dettaglio, ma sono riuniti sotto un unico slogan: il successo dei negoziati a qualunque costo e comunque sia. Ciò deve destare i Paesi arabi alla nuova realtà nelle loro relazioni internazionali, comprese quelle con Teheran, e alla loro prospettiva concreta verso i Paesi del Golfo.

Il regime autocratico di Teheran non è il solo pericolo della regione araba, anche se le sue ambizioni espansionistiche rappresentano una delle minacce. C’è la Turchia con le sue aspirazioni ad  intromettersi nella regione, al servizio degli interessi del suo presidente; Israele con la sua politica ostinata nel rifiuto di una soluzione dei due Stati e perseverante nell’occupazione e nella costruzione di insediamenti illegali; Daesh (ISIS) che uccide persone, distrugge la civiltà araba e le città che ne sono state testimoni.

Vi sono gli errori dei leader arabi il cui prezzo viene pagato dalle generazioni passate, presenti e da quelle future, se non saranno riparati velocemente. Da ultimo, ci sono i Paesi che a lungo hanno giocato con questa regione e manipolato le sue risorse e i suoi popoli.

Questa la condizione della regione araba: sgretolamento, frammentazione, paludi e pozzanghere di sangue e rovina, con le dovute eccezioni ovviamente.

A prescindere dalla determinazione dell’amministrazione Obama nel difendere l’accordo sul nucleare come priorità strategica, la stessa non simpatizza con la logica della coalizione araba in Yemen, perciò quest’ultima non otterrà aiuti militari americani. Di conseguenza, la coalizione è davanti ad una scelta: potenziamento militare con sbarco marittimo, facendo affidamento solo su sé stessa, né sugli USA né sul Pakistan, o persuadere che la strategia del progetto Marshall in Yemen, implichi concretamente il fallimento del progetto iraniano, basato invece sul coinvolgimento dei Paesi della coalizione araba nella palude yemenita.

Il punto è che non vi è errore in nessuna delle due scelte. Se l’interesse nazionale saudita richiede l’intesa con Teheran per quel che riguarda lo Yemen, nulla di male; l’intesa naturalmente implica concessioni da entrambe le parti, ma se da ciò deriva ciò che è nell’interesse nazionale saudita e nell’interesse nazionale arabo va bene .

Si dice che Tehran voglia un “baratto” (Siria in cambio dello Yemen) con Riyad, ma che questa abbia rifiutato poiché non è pronta a rinunciare alla Siria e a lasciare a Tehran l’occasione di costruire quella “Mezzaluna Persiana”che divora i Paesi arabi e impone la sua egemonia. Un altro punto di vista sostiene di lasciare che l’Iran sia sempre più coinvolto e impelagato nella situazione siriana, poiché tanto un sua dominazione sulla Siria è impossibile. Tutti sono colpevoli per ciò che è successo alla Siria.

Tutto quel che si è detto non significa che l’Iran sia pronto per le intese, però il suo isolamento appartiene ormai al passato. Bisogna adattarsi alla nuova realtà in un modo o nell’altro, con intese o tagli netti; o prendere in mano le redini della questione e adottare una strategia che comunichi che questa guerra in Yemen non può essere persa. Le mezze soluzioni non sono utili così come le mezze guerre, dovunque esse siano.

Raghida Dergham è editorialista e corrispondente diplomatica di Al-Hayat.

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Roberta Papaleo

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