Napoli, Milano, Atene, Parigi, Marrakesh, Teheran, Tangeri. Sono alcuni dei luoghi in cui ci conduce Giuseppe Acconcia con il suo nuovo lavoro letterario “Taccuino arabo. Frammenti di viaggio tra Europa e Medio Oriente” pubblicato da Edizioni Bordeaux nel 2022.
“In Piazza Djemaa el-Fnaa a Marrakesh ci sono dentisti improvvisati e camaleonti ai lati della strada, conoscere gente è semplicissimo. (…) Scopriamo il deserto, i cammelli, le risate dimenticate dei tuaregh con denti invisibili, coperti di giallo. Una tenda è sistemata nel nulla, mentre ci sono dei cani che ululano in fondo. (…) Fes per me è un posto impensato: colori, stradine di gente in salita, vecchi meccanici con una lampadina, frutta e frullati su strade straripanti, per terra oggetti di ogni genere (…) donne grasse intorno ai tavoli, per strada piccoli cortei colorati senza nessun vero contenuto politico”.
I luoghi di cui ci parla l’autore, intrisi delle loro peculiarità umane e sociali, sono animati da personaggi che si muovono in relazioni fluttuanti: amicizie, amori, conoscenze, incontri casuali sono il caleidoscopio di situazioni che, in maniera volutamente frammentata, Acconcia ci restituisce con una scrittura asciutta che non lascia spazio alle emozioni. Eppure, ripetutamente l’autore ci parla di bocconi di traverso che si ritrova a dover ingoiare nel suo vissuto, nelle esperienze che segnano la sua vita, fin da quando si trasferisce a Milano per frequentare la prestigiosa università Bocconi, soddisfacendo più le aspettative dei suoi genitori che non le proprie. È proprio in quella “Milano da bere” degli anni Novanta che Acconcia comprende a pieno la sua estraneità a quel contesto e vede l’Oriente come unica via di fuga.
Inizia così il suo personale viaggio, fisico e interiore, alla scoperta di mondi e culture differenti. La Spagna e la Grecia, il Marocco e Algeri, Parigi e Lisbona. Un andirivieni di racconti che si fanno tutt’uno con i luoghi, con esperienze di vita a volte spinte oltre i limiti del lecito, per mettersi in gioco, per confrontarsi, per sperimentare se stessi nel mondo e nelle diversità. E nelle peregrinazioni c’è anche l’incontro con l’Islam.
“L’Islam possiede in sé quell’elemento politico che manca al Cristianesimo. È una religione più completa e perciò più difficile da ignorare. Le società musulmane sarebbero meno inclini alla democrazia conservatrice occidentale qualora venissero liberate dalla dittatura della religione”.
Il viaggio come strumento di conoscenza, come veicolo di incontro con un mondo altro. Come quello che l’autore fa in Iran, il paese nel quale si reca per scrivere la tesi di laurea.
“La separazione tra vita pubblica e privata in Iran determina una sorta di depoliticizzazione diffusa e diffidenza nelle relazioni reciproche. In casa si fa festa, le ragazze non portano hejab. Per strada tutti cambiano, ognuno sa di aver a che fare con un alter ego e per questo è semplice mentire e raccontare bugie. Si vive di bugie, di promesse mancate, di appuntamenti non rispettati, di vite a metà”.
Il racconto di questo viaggio per fotogrammi, sfuggenti e a tratti sfocati, ci restituisce una percezione dell’Oriente lontana dai falsi bagliori dell’orientalismo: è un racconto fatto di fisicità, di incontri clandestini, di un mondo in cui si mescola la spiritualità con la fin troppo evidente corporeità dei personaggi. Un viaggio nel quale l’autore si è calato visceralmente e che con altrettanta visceralità rende partecipe il lettore, fra i racconti degli uomini degli hammam e gli spericolati attraversamenti del confine turco siriano, fra la vita da studente universitario fuorisede e quella del reporter. Un viaggio fatto di tante tappe, ognuna delle quali connota un momento particolare della vita dell’autore.
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