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Riconsiderando l’intervento in Siria

Siria

Di Abdulrahman al-Rashed. Asharq al-Awsat (19/06/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Il presidente statunitense Barack Obama pensava di essersi distinto per aver scelto di ignorare la crisi in Siria, cercando di evitare gli errori commessi in Iraq dall’amministrazione precedente. Tuttavia, molti hanno iniziato a criticare questa “neutralità negativa”, dicendo invece che è importante riconsiderare la cosa.

Di recente, 51 funzionari diplomatici del Dipartimento di Stato americano hanno firmato un memorandum interno che invita gli USA a effettuare attacchi aerei contro il regime siriano per porre fine ai suoi crimini. E il numero di quanti sono in favore dell’intervento cresce ogni giorno di più. Dopo il senatore John McCain – che sin dall’inizio del conflitto siriano aveva suggerito di intervenire contro il regime Assad e aveva messo in guardia dall’ignorare la crisi – oggi molte personalità militari, politici, attivisti, intellettuali e altri diplomatici condividono la sua opinione.

La neutralità negativa non si limita a rifiutare l’intervento militare in Siria, ma anche di impedire ai paesi alleati degli USA nella regione a sostenere l’opposizione rifornendola di armi. Sin dall’inizio della crisi, nessuno ha chiesto a Washington di inviare truppe o partecipare nel conflitto o distribuire armi, ma gli è stato chiesto di non limitare le operazioni per armare l’opposizione.

Il caos che vediamo oggi è il risultato della politica di neutralità ed è per questo che i funzionari diplomatici hanno firmato quel memorandum – cosa assai rara – per chiedere l’intervento in quanto si rendono conto che l’entità del danno in Siria ha raggiunto livelli inaspettati.

Come già detto, questa posizione è condivisa da molti, anche da tanti intellettuali. È una buona posizione? Sì. Ma ha una qualche influenza? No, soprattutto ora che gli Stati Uniti avranno il loro bel da fare interno nei prossimi mesi con le elezioni presidenziali. Tuttavia, questo invito non è rivolto solo agli USA, ma soprattutto è un modo per dire ai paesi della regione che la fine della crisi in Siria non dipende esclusivamente da Washington. Il sempre maggiore sostegno per un intervento renderà più facile ai paesi della regione – se lo vorranno – di incrementare il loro supporto all’opposizione siriana.

Nonostante le numerose crisi e in numerosi conflitti in tutto il mondo, quanto sta accadendo in Siria va al di là della comprensione umana e di qualsiasi standard bellico mai raggiunto. Circa mezzo milione di siriani sono rimaste uccise nel conflitto, di cui la maggio parte civili, e più di 10 milioni sono sfollati, di cui un terzo rifugiati fuori del paese.

Abdulrahman al-Rashed è ex caporedattore del quotidiano Asharq al-Awsat e ex direttore generale di Al-Arabiya.

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Roberta Papaleo

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