L’illusione di una “soluzione politica” in Siria

Zoom 17 nov Siria

Zoom 17 nov SiriaDi Elias Harfoush. Al-Hayat (12/11/2013). Traduzione e sintesi di Laila Zuhra.

C’è un consenso quasi unanime, sia tra i mediatori nella crisi siriana che tra le personalità politiche occidentali coinvolte nella questione, sul fatto che non possa esserci una soluzione militare al conflitto e che l’unica strada da seguire sia quella della soluzione politica.

Coloro che sostengono questa possibilità sono indubbiamente consapevoli di tutte le implicazioni e le condizioni che una soluzione politica comporta. In tutte le crisi regionali e internazionali, dalla guerra in Libano al conflitto bosniaco, dalla guerra in Afghanistan a quella in Iraq, la soluzione politica raggiunta è stata il risultato della sconfitta militare di una delle parti o della rinuncia degli sponsor regionali e internazionali a sostenere questa o quella parte.

Non è questo, però, il caso della Siria. Finora non c’è alcun segnale della possibilità che il regime o l’opposizione possano riportare una vittoria militare tanto schiacciante da costringere l’altro alla resa. Inoltre, gli sponsor esterni che forniscono armamenti, aiuti finanziari e appoggio politico sono disposti più che mai a continuare a dare tale sostegno, se non addirittura a rafforzarlo.

Considerando la ben nota divergenza di posizioni, inoltre, sembra non esistere la possibilità di una soluzione mediata tra le parti in conflitto: l’opposizione esclude qualsiasi eventualità di affidare un ruolo a Bashar al-Assad nella fase post-risoluzione, mentre al-Assad, dal canto suo, la ritiene una “precondizione” irrinunciabile all’inizio dei negoziati.

Oggi spetta all’Occidente il compito di definire una “soluzione politica” con al-Assad, benché sia noto che l’unica soluzione presa in considerazione dal regime e dai suoi apparati di sicurezza prevede l’eliminazione degli oppositori al regime, ”i traditori e i terroristi”.

I sostenitori della soluzione politica, in realtà, non cercano alcuna soluzione. Ne è una prova il fatto che, nel giungere a un accordo con il Cremlino sulla questione delle armi chimiche siriane, i rappresentanti occidentali non abbiano discusso del futuro del regime e della necessità di destituirlo per porre fine alla crisi, in linea con gli impegni già assunti. Al contrario, quell’accordo ha ridato linfa vitale al regime di al-Assad.

Un’altra prova sta nella ricerca di un accordo con Teheran da parte dell’Occidente: nonostante sia risaputo che il coinvolgimento dell’Iran e dei suoi gruppi armati affiliati (siano essi in Iraq o in Libano) consente al regime di rimanere in piedi, i negoziatori non hanno saputo trovare una ragione che li spingesse a chiedere all’Iran di interrompere la sua ingerenza nel conflitto siriano, per avere, così, la concreta opportunità di giungere a quella soluzione politica ritenuta come l’unica via d’uscita possibile.

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