Di Iyad Al-Dalimi. Alaraby(07/08/2018). Traduzione e sintesi di Stefania Schiavi.
L’Iraq di oggi non ha nulla a che vedere con l’Iraq di una quindicina di anni fa; lo spartiacque è il 2003, l’anno che lo ha trasformato in uno stato fallito, controllato da milizie armate e affiliate, in un modo o nell’altro, ai partiti al potere, che però negano la cosa.
Recentemente è stata ratificata una legge che, secondo coloro che l’hanno votata, permetterà allo Stato di liberarsi delle più di 40 milizie armate presenti sul territorio iracheno: l’intento è quello di reintegrarle nelle forze armate o dare loro altri incarichi governativi; tuttavia, si tratta delle solite bugie. Infatti tutti i canali d’informazione riferiscono quotidianamente di operazioni portate avanti da queste milizie fuorilegge nella maggior parte delle città irachene: omicidi, terrorismo e furti nei confronti di figure militari, civili e persino capitribù, come è successo a Dujail, a nord di Baghdad, alcuni giorni fa, quando le milizie di Asa’ib Ahl al-Haq hanno rapito i capi della tribù dei Khazraj, li hanno uccisi e abbandonati sul bordo della strada.
Dunque le milizie governano il Paese. E come dare loro torto dal momento che possiedono sia armi che potere e che sono diventate padrone dello scenario iracheno, specialmente da quando il movimento Fatah si è assicurato il secondo posto nelle elezioni dello scorso 12 maggio.
In più, dopo che si sono scatenate delle manifestazioni nel sud del Paese per la mancanza di servizi, l’assenza di opportunità di lavoro e il peggioramento delle condizioni di vita, queste milizie hanno rivolto le loro armi ai pacifici manifestanti, uccidendone a decine e confermando di nuovo che la legge della giungla è l’unica legge vigente nell’Iraq post-2003.
Non è poi vero che il Primo Ministro Haydar al-‘Abadi si sta sforzando per limitare l’uso delle armi alle forze statali: egli infatti sa, meglio di altri, che le milizie sono supportate dal suo partito e dagli altri partiti al governo e, di conseguenza, le sue sono parole al vento. Senza contare che le forze armate irachene possono, in qualsiasi momento, unirsi ad uno dei tanti leader delle milizie.
Secondo dati pubblicati recentemente dalla rivista americana The National Interest, nel 2010 gli sciiti costituivano il 55% delle forze armate irachene, una percentuale che è salita al 95% dopo che l’esercito americano ha lasciato il Paese e a causa delle politiche settarie dell’ex Primo Ministro Nuri al-Maliki. Secondo cifre non ufficiali le milizie sciite in Iraq contano circa 120.000 combattenti, equipaggiati con le armi dell’esercito iracheno, colpevole del fatto che i carri armati americani siano finiti nelle mani di quelle milizie che gli Stati Uniti considerano organizzazioni terroristiche.
Ma cosa accadrebbe se il comandante di una di queste milizie, Hadi Al-Amiri ad esempio, diventasse presidente del nuovo governo? Nonostante alcuni continuino a sostenere che si tratta di uno scenario improbabile, nulla è inverosimile nell’Iraq post-2003 e significherebbe, credo, altro sangue e altre morti.
In conclusione, le milizie sono diventate un mostro che ha divorato quello che resta dell’Iraq e, se lasciate libere di agire, potrebbero portare ad un nuovo sanguinoso conflitto, soprattutto visto che le tribù del sud sono pesantemente armate e non hanno dimenticato il sacrificio del meglio dei loro giovani: tutto è possibile sull’onda del dolore.
Iyad Al-Dalimi è uno scrittore e giornalista iracheno.