Iran Zoom

L’Iran non sarà la nuova Cuba di Obama

Khamenei e Obama

Di Joyce Karam. Al-Arabiya (18/12/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

L’annuncio storico di Obama sulla fine dell’embargo di Cuba e sull’inizio della normalizzazione delle relazioni con L’Avana ha fatto pensare a molti in Medio Oriente: l’Iran sarà il prossimo? Mentre questa sembra una lecita domanda, visto il tempo e l’attenzione dedicati da Obama al regime di Teheran, rimane tuttavia un’ipotesi più che remota in termini di realpolitik a causa del comportamento regionale dell’Iran e dell’attuale traiettoria dei negoziati sul nucleare.

È vero che Cuba e Iran condividono un trascorso di ostilità nei confronti degli Stati Uniti, ma il regime Castro offre un modello e delle prospettive ben diversi da quelli dell’Iran della Guida Suprema Ali Khamenei e della sua Guardia Rivoluzionaria. Queste differenza tracciano due percorsi separati per Cuba e Iran con gli USA, promettendo più apertura per L’Avana e più diffidenza con Teheran.

La fine dei 55 anni di politica di isolamento con Cuba non è avvenuta per caso. La guerra fredda che ha allontanato L’Avana dal suo potente vicino è ormai finita e il regime Castro di oggi non è più il nucleo comunista della sfera occidentale. Il comportamento regionale di Cuba, inclusa la sua apertura con le organizzazioni di Unione Europea, Brasile e America del Sud negli ultimi 15 anni, pone in una luce assai diversa il comportamento di Teheran.

Il miglioramento della traiettoria di Cuba nell’emisfero occidentale ha promosso una revisione dei suoi legami con gli Stati Uniti, mentre il deterioramento delle relazioni dell’Iran in Medio Oriente accrescono il suo isolamento. La partecipazione de L’Avana a numerosi vertici regionali, a cominciare dal summit Ibero-Americano del 1991, e la normalizzazione dei legami con tutti i Paesi sudamericani è totalmente in conflitto con il percorso iraniano in Medio Oriente. Dalla Siria all’Iraq, dallo Yemen al Bahrein, le strategie dell’Iran sono molto diverse da quelle cubane, sfidando i suoi vicini facendo affidamento sulle milizie settarie per garantire i suoi piani. Queste tensioni hanno provocato l’esclusione dell’Iran dai principali vertici mediorientali, compresi i due incontri sulla Siria a Ginevra: ciò ha complicato in larga misura gli sforzi di Obama di migliorare le relazioni con Teheran. Non è un caso che il presidente americano faccia pressione su attori regionali come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti per far sì che i rapporti con l’Iran migliorino, in quanto necessario per qualsiasi ricostruzione delle relazioni tra Washington e Teheran.

Un’altra importante differenza tra Cuba e Iran è il fatto che la comunità internazionale è convinta che l’embargo su Cuba fosse una cattiva idea, mentre le sanzioni sul regime iraniano vengono ancora appoggiate. L’embargo di Cuba è stato votato ben 17 volte dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e le sempre maggiori relazioni de L’Avana con l’UE, la Cina e la Russia hanno mandato in frantumi la politica di isolamento. Mettiamole al confronto con le 8 risoluzioni ONU adottate dal Consiglio di Sicurezza e le pesanti sanzioni contro l’Iran. Dopo tutto, Cuba non è una potenza nucleare e i suoi ambiziosi piani con l’aiuto dell’Unione Sovietica per la costruzione di un reattore sono crollati con il crollo dell’URSS.

Nel corso dell’ultima sessione di negoziati sul nucleare a Vienna tra l’Iran e i Paesi 5+1, finita con un accordo teorico, l’ambasciatore francese negli USA, Gerard Araud, ha astutamente sottolineato con un tweet che “per l’Iran, raggiungere un accordo con l’Occidente significherebbe perdere l’ultimo pilastro ideologico della rivoluzione, fondamentale per il regime”. Questo pilastro ideologico segna per l’Iran un percorso ben diverso da quello cubano per la normalizzazione delle relazioni. Le strategie attuali di Khamenei mirano all’implementazione di un delicato equilibrio con l’Occidente, che permette di discutere sul nucleare, di farla finita con la retorica ostile di Ahmadinejad, ma senza però far crollare i vecchi pilastri anti-occidentali della rivoluzione islamica del 1979. Rinunciare a tali pilastri e normalizzare le relazioni equivarrebbe a porre fine alla rivoluzione iraniana. Questo è quanto sta gradualmente accadendo a Cuba, ma il regime iraniano è ben lontano da questo punto. Quindi, le quattro lettere di Obama a Khamenei sono rimaste senza risposta e le minacce sull’abolizione di Israele non sono cambiate.

Da un punto di vista politico, il fallimento dei negoziati dello scorso 14 novembre sul programma nucleare ha ridimensionato in modo significativo le aspettative di Washington sul raggiungimento di un accordo esauriente. Un fonte occidentale ha così sintetizzato la cosa: “Khamanei non vuole un accordo. Proveremo a fare più pressione per ottenere questo risultato, ma è ben lungi dall’essere certo”. Ciò va in netto contrasto con le negoziazioni tra Obama e Castro, dalle facilitazioni dei trasferimenti finanziari di tre anni fa fino alla stretta di mano ai funerali di Mandela nel dicembre dello scorso anno.

Il paragone Cuba-Iran non regge se si guarda al loro comportamento regionale e nei confronti degli Stati Uniti. Così stando le cose, è molto più probabile vedere John Kerry fumare un sigaro cubano a L’Avana piuttosto che vederlo stappare champagne per festeggiare un accordo sul nucleare a Vienna.

Joyce Karam è la corrispondete a Washington per il quotidiano Al-Hayat.

Vai all’originale