Ziad Abu Ein e Gilad Shalit: due pesi, due misure?

Di Nasry Sayegh. As-Safir (15/12/2014). Traduzione e sintesi di Francesca De Sanctis.

Il ministro palestinese Ziad Abu Ein è morto sotto gli occhi del mondo intero e non è successo niente. È morto il ministro per gli Affari delle Colonie e del Muro e l’Occidente, sempre attento alla questione dei “diritti umani”, non ha avuto niente da dire. Sono stati scelti il silenzio, l’omissione intenzionale, l’uscita di scena. Sembra proprio che, per l’Occidente, si tratti solo dell’ennesimo morto tra ciò che resta di una minoranza in via d’estinzione quale furono gli indiani d’America.

Parliamo invece di Gilad Shalit. Qualcuno se lo ricorda? Si tratta di un soldato israeliano rapito da Hamas, esponente di quel genere umano a cui sembra che Ziad Abu Ein non appartenga. Il caso di Gilad Shalit suscitò infatti grandi simpatie a livello internazionale, portando ad un’energica mobilitazione: per lui sono stati indetti cortei e manifestazioni e sono state inviate delegazioni che esercitassero pressioni sui suoi rapitori affinché fosse liberato. Gilad, così come i media occidentali ce lo descrissero, sembrava fosse un “angioletto”.

Diverso è stato il trattamento mediatico riservato al palestinese Ziad Abu Ein. In primo luogo, ha suscitato lacrime e tristezza, e poi la minaccia di sospendere la “cooperazione per la sicurezza” con le Forze di Difesa Israeliane. Per il caso di Gilad Shalit invece si scatenò la guerra contro la striscia di Gaza, che fu approvata, sostenuta e giustificata da un Occidente completamente sottomesso di fronte alla barbarie israeliana, senza rimorso o vergogna.

A questo punto verrebbe da chiedersi se l’Occidente conosca con precisione le vicende relative alla questione palestinese, o se sia piuttosto possibile interpretare certi “favoritismi” come frutto di ignoranza. Ritiene davvero di stare pagando il prezzo delle atrocità commesse contro gli ebrei in nome dell’anti-semitismo e del razzismo radicati in organizzazioni religiose cattoliche e leader politici, e dell’Olocausto perpetrato dai nazisti?

Ebbene, è il caso di dissipare ogni dubbio: l’Occidente sa bene quale sia l’origine, antecedente all’Olocausto, dell’idea su cui si basa la creazione dello Stato d’Israele. E lo sa perché vi ha preso parte.

Nella Prima Guerra Mondiale gli arabi si allearono con Gran Bretagna e Francia contro Impero Ottomano e Germania. Gli alleati ebbero la meglio sugli ottomani, ma con la loro vittoria gli arabi finirono col perdere proprio ciò per cui avevano combattuto. L’Occidente infatti si dimostrò sleale verso gli arabi sin da prima della creazione dello Stato d’Israele e questa slealtà si concretizzò prima nella divisione e spartizione del Levante, sulla base di un accordo segreto (Sykes-Picot) e in seguito nella dichiarazione del Ministro degli Esteri britannico Lord Balfour, il quale in una lettera indirizzata a Walter Rotschild mise nero su bianco la promessa che gli ebrei avrebbero avuto una loro nazione in Palestina.

Gli inglesi vigilarono sulla militarizzazione degli ebrei, e con la loro vittoria contro i palestinesi mantennero la promessa, nonostante le rivolte arabe degli anni 1920, 1929 e 1939. E tutto ciò avvenne prima che Hitler desse inizio alla Seconda Guerra Mondiale: l’Occidente e l’Unione Sovietica votarono per la creazione dello Stato d’Israele e la fondazione della Palestina, ma, mentre lo Stato d’Israele vide effettivamente la luce, lo stesso non si poté dire di quello palestinese. Certo è che sapessero bene che la Palestina era una terra con un popolo, e non una terra senza popolo, per cui possiamo dire che contribuirono all’espropriazione dei palestinesi dalle loro abitazioni e alla scomparsa di più di 500 villaggi.

L’Occidente si schierò contro i palestinesi perché erano palestinesi, ancora prima che venissero alle armi. Vennero alle armi quando si resero conto delle bugie dell’Occidente e della debolezza degli arabi. Si servirono della lotta armata di cui si avvalsero anche altri popoli, i quali riuscirono però ad ottenere l’indipendenza dalle potenze colonizzatrici. Mentre quelli perseguirono il loro scopo, i palestinesi rimasero invece divisi tra occupazione coloniale, campi profughi e resistenza errante.

Consapevole di tutto ciò, l’Occidente sa anche che Israele è l’unico Stato al mondo a violare, ad oggi, le leggi internazionali: è infatti l’unico Stato coloniale dalla scomparsa del colonialismo e l’unico ad attuare una discriminazione sistematica su base religiosa e razziale dalla fine dell’apartheid in Sud Africa. Nonostante questo, resta la parte prediletta e continua ad ottenere protezione e sostegno.

La risposta dell’Occidente alla notizia della morte di Abu Ein, come se si trattasse di un evento ordinario e di poca rilevanza, non ha certo contribuito a migliorare la sua immagine. È piuttosto disdicevole infatti che al tragico destino di una simile figura pacifica, compiutosi proprio nell’atto fortemente simbolico di piantare l’ulivo in prossimità del muro della discriminazione razziale, non siano stati concessi lo spazio e l’attenzione che furono invece riservati al caso Shalit.

Eppure non c’è da stupirsi se si ha presente cosa scatenò l’accusa di diffamazione razziale rivolta al filosofo francese Edgar Morin, il quale firmò insieme a Samy Nair e Danièlle Sallenave sul giornale Le Monde un articolo in cui si sosteneva che il fatto che Israele si sentisse vittima abbia fornito una giustificazione al suo “colonialismo e apartheid”. Morin scrisse che “gli ebrei subirono un apartheid denominato “ghetto” e ghettizzano a loro volta i palestinesi. Gli ebrei che furono umiliati, disprezzati e perseguitati, oggi umiliano, disprezzano e perseguitano i palestinesi. Gli ebrei che furono vittime di un ordine spietato, impongono il loro ordine spietato ai palestinesi. Gli ebrei che furono sottoposti ad atrocità disumane, appaiono essi stessi mostruosamente disumani.”

Se Morin fu accusato di razzismo, gli arabi furono accusati di inferiorità. Il comportamento dell’Occidente rispetto agli arabi appare infatti quello di un signore che impartisce ordini al suo servo, e questa dinamica è alla base della politica occidentale, dettata dagli interessi, dai mercati e dagli investimenti nella regione. L’accoppiata Henri Levy – Gilad Shalit è assai più forte di quella Edgar Morin – Ziad Abu Ein.

Sarebbe una fortuna se l’Occidente si trovasse, ad un certo punto, a vivere un grande trauma che lo inducesse a riconsiderare la propria percezione di sé, alla luce di una condivisa condizione umana, come pari rispetto agli altri, e non più superiore.

Nasry Sayegh è un giornalista libanese.

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