di Samir Ata Allah, al-Sharq al-Awsat(17/07/2018).Traduzione di Mario Gaetano
La democrazia è un concetto elastico che si applica in modo diverso da Paese a Paese; ad esempio in quelli sovietici lo si faceva seguendo un solo partito e un solo uomo.
In Libano, dall’anno della sua fondazione, nel 1920, si è sviluppato un sistema democratico in cui sono fondamentali: costituzione, parlamento, elezioni e così via. Nel secolo scorso Abd al-Karim Qasim si affrettò ad annunciare la sua repubblica democratica e così via.
Le due democrazie, irachena e libanese, hanno condiviso l’esperienza delle elezioni e i loro risultati; tuttavia, quanto alle elezioni irachene, non è stato deciso se considerarle illegittime, mentre in Libano, esse non hanno portato neppure alla formazione del governo. Per noi iracheni, si definisce democrazia, ciò che è permesso dal dottor Nur al-Din al-Maliki e dal suo concetto di libertà e di diritto dell’altro.
Non c’è dubbio che la gran parte degli arabi, dopo tutto, invidia la nostra manifestazione della democrazia, infatti siamo rimasti due anni e mezzo senza presidente della Repubblica, per quasi un anno senza governo, e per quasi nove anni senza elezioni parlamentari e comunali. èquesta situazione che gli arabiinvidiano, quando la confrontano con ciò che succede negli altri Stati, dai referendum, ai movimenti politici e il significato che hanno per loro.
Io non faccio parte di quella schiera di cittadini che attendono i risultati elettorali o le formazioni governative e non faccio parte neppure della schiera degli ottimisti, ma è un dato di fatto che alle elezioni in Iraq e in Libano hanno votato tutti, anche quelli che abitano in Svezia e in Norvegia.
La questione in Libano e in Iraq e nel “grande mondo arabo” tuttavia non sta più nelle formazioni politiche, negli scenari o nei principi della democrazia, ma piuttosto sta nella vita dei Paesi e nella vita dei cittadini. L’Iraq,inoltre, non si infiamma per la diffusione della corruzione, mentre il Libano vacilla sotto il suo peso; la questione, tuttavia, non è nemmeno quali politici devono rimanere o quali se ne devono andare, ma piuttosto è cosa rimane a quelli che restano? Le manifestazioni in Iraq chiedono elettricità per i Paesi del Tigri e l’Eufrate; il Ministero dell’Energia in Libano chiede al “grande popolo libanese” di montare dei contatori illegali paralleli, altri chiedono che sia regolamentata la coltivazione della cannabis.
In tutta onestà, per dirla come l’autore del libro “il nostro corrispondente a Beirut” che mio figlio ha avuto la fortuna d’incontrare, se in Libano non ci fosse stata l’elettricità della mafia, il Paese vivrebbe 4 ore nel XXI° secolo e 20 ore nel XI°. Mio figlio, come il 90% dei libanesi e degli altri arabi, cerca un’altra vita all’estero, dato che non so se la corruzione lascierà qualcosa al 10% di quelli che rimangono. Chiedete alla gente di Basra, quante volte sei stato rovinato?
Samir Ata Allah è scrittore e giornalista libanese, ha lavorato in tutti i quotidiani e settimanali arabi, nella rivista libanese al-Sayyad e per il quotidano kuwatiano al-Anba.
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