Di Élie Fayad L’Orient-Le Jour (23/01/2020) Traduzione e sintesi di Katia Cerratti
Ogni volta che nasce un nuovo governo, va di moda considerare che sarebbe saggio non affondarlo subito e che, dopo tutto, in questi casi è sempre meglio accontentarsi di formule educate come “diamogli una possibilità”. Una frase che ha il vantaggio di essere una zona grigia che unisce una chiara mancanza di impegno a una certa positività.
Se si trattasse solo di giudicare gli individui che compongono il nuovo gabinetto, o almeno un certo numero di essi, allora, in effetti, daremmo loro volentieri questa possibilità, fino a osare di sperare che ci riusciranno, perché da questo successo dipende la salvezza del Libano.
Ma un governo è molto più della somma delle qualità e delle competenze delle persone che lo formano e, prima di tutto, non è sicuramente un’accademia delle scienze. Anche se venissero insediati 20 Einstein, non ci sarebbe comunque alcuna garanzia di successo. Perché? Perché l’economia, le finanze, il sociale, la diplomazia, la sicurezza, la guerra, la pace, la geostrategia, l’istruzione, la sanità, la cultura, le questioni sociali e persino l’ecologia politica non sono scienze esatte. Si tratta di ambiti aperti a diverse opzioni politiche, persino contraddittorie. Il compito di un governo non è quello di cercare una verità scientifica improbabile ma di mettere in atto un’opzione piuttosto che un’altra, quando ha la legittimità democratica per farlo.
A Beirut, recentemente, è stato chiesto a Carlos Ghosn se esiste la possibilità che un giorno possa accedere a responsabilità pubbliche in Libano, date le sue comprovate competenze. Ghosn ha risposto con una frase che riassume in sostanza l’intero problema: “gli esperti sono certamente importanti nella gestione del governo, ma il loro ruolo non può che essere limitato, perché alla fine sarà sempre necessario fare delle scelte politiche”.
Naturalmente, lo stato attuale delle finanze libanesi rende inevitabile una serie di misure eccezionali e dolorose, indipendentemente dal governo in carica. Tuttavia, non sarà certo la tecnica a salvare il paese quanto invece la politica, così come è stata soprattutto la politica a portarlo alla rovina. È secondo questo criterio che, in attesa di un giudizio sull’azione di un governo che si sta avviando, conviene esaminare le condizioni della sua gestazione. Inutile dire che le cose non sono affatto incoraggianti su questo punto.
Martedì sera a Baabda, Hassane Diab, dopo aver elencato nel suo discorso le qualità della sua squadra e provato a suggerire con insistenza che la sua composizione va verso ciò che il movimento di protesta richiede, in risposta alla prima domanda che gli è stata posta dopo il suo intervento, ha immediatamente affossato le due principali rivendicazioni concrete della rivoluzione: governo di specialisti indipendenti e elezioni anticipate. La domanda posta dalla corrispondente de L’Orient-Le Jour, Hoda Chedid, era la seguente: “Dopo la sua nomina, ha promesso di designare solo ministri indipendenti e si è pronunciato su elezioni anticipate. Cosa dice ora, sapendo che il gabinetto è nato sulla base di una distribuzione di quote tra politici e non si parla più di elezioni?” In risposta, il primo ministro ha citato, per il primo punto, “la realtà del Libano” e, per il secondo, la necessità di elaborare una nuova legge elettorale.
Per quanto riguarda il primo punto, forse al primo ministro è sfuggito il fatto che l’obiettivo della contestazione era proprio quello di cambiare questa “realtà del Libano”, almeno nel modo di formare i governi. Non solo questa richiesta è stata ignorata, ma il sig. Diab ha anche confermato che il suo gabinetto non è fondamentalmente diverso per natura dai precedenti. In effetti, ciò che è cambiato in primo luogo è che le figure politiche sono passate in secondo piano. In tempi di crisi acuta, questa posizione è piuttosto conveniente nella misura in cui consente loro di scaricare le responsabilità su questi poveri tecnocrati che dovranno sudare per far passare la pillola delle misure impopolari che saranno chiamati a prendere, ben sapendo che, in caso di successo, il merito difficilmente andrebbe ai nostri specialisti qualificati.
E poi, ciò che è cambiato è l’uscita dei componenti dell’ex 14 marzo. Vogliono forse far credere che questa uscita e il soliloquio dell’ex 8 marzo – esso stesso a brandelli – sia la risposta alle aspettative dei manifestanti?
Per quanto riguarda le elezioni anticipate, sono chiaramente rinviate alle calende greche e lo saranno sempre ogni volta che si evidenzierà il sotterfugio della legge elettorale. Il dramma è che tutti o quasi, fanno la loro parte: una parte dell’opinione pubblica perché vuole sempre credere che esista da qualche parte un sistema di voto ideale, la classe politica con cognizione di causa, sa benissimo che questo spesso finisce per rendere impossibile indire le elezioni.
Cerchiamo di essere chiari: il collasso libanese è sicuramente multiforme, ma è prima di tutto politico. Nessuno dei sogni dei giovani e dei meno giovani che hanno manifestato dal 17 ottobre può essere realizzato senza un rinnovamento della vita politica in Libano. Per questoci sono solo le elezioni. E certamente non questo governo che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un manager del caos, e nella peggiore delle ipotesi un gabinetto … dell’8 marzo.
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