I disaccordi interni tra i membri del governo e la crescente tensione con il vicino israeliano mettono in crisi la già delicata situazione libanese
di Munir al-Rabi’, al-Modon, (30/06/2020). Traduzione e sintesi di Pietro Menghini.
La decisione di rassegnare le dimissioni del direttore generale del ministero dell’Economia, Alain Bifani, ha scatenato la rabbia del presidente del parlamento Nabih Berri, per le negative implicazioni che questa scelta avrà sull’economia libanese. Le dimissioni sono il risultato dei molti disaccordi nei negoziati tra le forze libanesi e il Fondo Monetario Internazionale.
Il dibattito ruota attorno al disaccordo sulle stime delle perdite del sistema finanziario libanese, giudicate troppo pessimiste dall’establishment politico del paese. Le accuse contro Bifani nascono proprio dalle stime, che hanno causato anche il risentimento di Berri. Quest’ultimo ha reso nota la sua posizione con il rifiuto di continuare le trattative sulla base delle stime del Fondo Monetario. Il primo ministro Hassan Diab ha espresso la sua rabbia per le parole del presidente del parlamento, Nabih Berri. Nonostante ciò Berri è rimasto sulle sue posizioni. Altre opinioni ritengono che Bifani possa mantenere il suo posto fino ad essere nominato governatore della banca centrale libanese.
Secondo un’opinione differente invece, il passaggio sicuro di Bifani alla banca centrale non sarebbe più un’ipotesi percorribile a causa della pressione statunitense. Se Bifani non dovesse dimettersi sarà allora costretto a lasciare il paese. Nonostante ciò, il coordinatore speciale per il Libano delle Nazioni Unite, Ian Kubiš, in un Tweet ha espresso la sua preoccupazione per le dimissioni di Bifani, considerate una grande perdita.
La questione deve dunque ancora svelarsi del tutto perché si possa comprendere quali saranno le conseguenze ma altri retroscena connessi con le pressioni esterne sul paese possono aiutarci a comprenderla meglio. Se le dimissioni esprimono i disaccordi interni, questi sono certamente destinati a peggiorare con le continue pressioni estere, in particolare dopo che Israele ha deciso di portare avanti delle perforazioni alla ricerca di giacimenti di gas nella regione confinante con il “blocco 9”, parte delle acque territoriali libanesi.
Questa azione ha come obiettivo quello di circondare il Libano e di spingerlo a negoziare sulla questione del confine marittimo senza attendere le trattative tra gli US e l’Iran. Hezbollah si è fermamente rifiutato di cedere a questo ricatto, mentre il Presidente della Repubblica è stato meno categorico, per timore delle sanzioni americane. Questa pressione esterna vuole portare alla rottura delle relazioni tra Hezbollah e il presidente Aoun. Il margine di manovra del Presidente della Repubblica, Michail Aoun, e del capo della corrente aounista, Jibran Basil, si restringe sempre di più. La formazione del governo israeliano ha spinto infatti alcuni gruppi libanesi a creare un’atmosfera favorevole alle trattative con Stati Uniti e Israele per la demarcazione del confine, diffondendo l’idea che solo grazie ai negoziati il Libano abbia una possibilità di salvezza, arrivando a beneficiare di aiuti economici.
Il tentativo, a cui Hezbollah si è opposto, era quello di far passare le decisioni sulle trattative da Berri a Aoun. La pressione da parte israeliana ha messo in crisi i due alleati, allontando Aoun e Basil da Hezbollah e Berri. I primi due infatti temono le sanzioni statunitensi e preferiscono ricevere da loro gli aiuti economici, mentre gli altri vi si oppongono. Se il panorama politico libanese resta bloccato su queste posizioni, con Israele che intende iniziare le perforazioni a settembre, un escalation militare diventerà sempre più probabile.
Munir al-Rabi‘ è un giornalista libanese che scrive per al-Modoon e altri giornali libanesi.