Di Ángel Luis Sucasas. El País (27/01/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
“Ho ucciso. Ho ucciso un uomo innocente. Mi hanno mandato a interrogarlo. Era un uomo onesto e innocente. Uno di loro ha preso una padella e lo ha colpito in testa con il bordo. Sanguinava dalla bocca, dal naso, anche dagli occhi. Voglio maledire il loro Dio. Dicono di credere in Dio, no? Se questo è il loro Dio, mi fa schifo”.
Un primo piano di 12 minuti e 12 secondi senza sosta. Quello di un soldato siriano che durante un brutale interrogatorio ha deciso di uccidere, per pietà, l’uomo innocente che stavano torturando. Dopo, lo ha seppellito con le sue mani, ha pianto, è tornato a casa e si è chiuso in bagno. Si è portato il fucile alla bocca. “Le lacrime mi scendevano lungo il viso come se fossero fuoco. Bruciavano come lava ardente. Stavo morendo. Non so perché, ma non fui capace di uccidermi. Non sono un uomo”.
Qui, il trailer del cortometraggio “Of God and Dogs”
L’agghiacciante testimonianza si aggiunge alle realtà descritte da quattro anni a questa parte dal collettivo Abounaddara, una squadra di documentaristi siriani che, in forma anonima, filmano per denunciare la situazione del loro Paese. Il loro ultimo lavoro, “Of God and Dogs”, si è aggiudicato il premio come miglior cortometraggio al Sundance Festival. “Il premio arriva in un momento in cui ci sentiamo esausti e indignati dalla passività del mondo di fronte all’annichilimento della nostra società orchestrata da regime Assad”, ha dichiarato il loro portavoce. “È la prima volta che un festival di tale importanza sostiene il nostro lavoro con tanta forza. Ci fa piacere e speriamo di servirci di questo sostegno per mantenere il nostro impegno”.
In attività dal 2010, la realtà trattata dal collettivo Abounaddara (letteralmente, “uomo con gli occhiali”) a volte dura un istante. In uno dei video, intitolato “Starvation”, viene mostrato un cadavere coperto da un sudario. Piano fisso di 12 secondi. Poi, la scritta in bianco su nero: “Reem Abed Rahim, morto di fame il 15 gennaio del 2014 nel campo di rifugiati di Yarmouk, assediato dalle forze di Assad”.
Tuttavia, il sito web di Abounaddara offre anche altri tipi di documentari, che niente hanno a che vedere con la morte o con la guerra. Almeno non direttamente. Ad esempio, nel film “The Stamp Man’s Last Stand”, vengono mostrate scene di quotidianità in un aneddoto umoristico tra un gruppo di donne e un artigiano. La realtà senza fini narrativi, né documentaristici, nel senso più puro del termine.
Qui, il video di “The Stamp Man’s Last Stand”
Il collettivo definisce il loro lavoro come “cinema d’emergenza”, comparandolo a una “medicina d’emergenza”, una necessità urgente per il popolo siriano di rappresentare la loro realtà. “Ci sembrava fosse essenziale intervenire velocemente per salvare l’immagine della nostra società dalle mani del regime e dai molti media che dividevano i siriani in musulmani e cristiani, in sunniti e alawiti, in lealisti e oppositori, in eroi e vittime”, sottolinea il portavoce. “Così abbiamo utilizzato tutti gli strumenti cinematografici per realizzare film che rappresentassero i siriani con maggiore dignità. Si trattava di lavorare il più rapidamente possibile per rispondere alla marea di immagini sanguinolente o caotiche che ogni giorno dalla Siria venivano riversate su internet”.
Non c’è sangue in “Of God and dogs”. Niente, eccetto la confessione di un crimine e le emozioni di un assassino. Un assassino che suscita nei realizzatori una “certa empatia”, dal momento che confessa “la morte di un uomo che sapeva essere innocente”. Un assassino che arriva a maledire il Dio dell’esercito e che lo descrive così: “Dio è un uomo che ama i prati verdi, non i fiumi di sangue”.
Qui, il sito web del collettivo Abounaddara
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