Di Shafeeq Nazem al-Ghabra. Al-Hayat (12/01/2017). Traduzione e sintesi di Veronica D’Agostino.
Nel mondo arabo, in ogni dibattito sulla democrazia convivono pareri contrastanti. C’è chi è a favore di un ritorno allo Stato, poiché la sua assenza porterebbe solo a conflitti e a divisioni, e chi pensa invece che questo non abbia fatto altro che alimentare la corruzione, la manipolazione di componenti minoritarie, nonché la privazione di spazi liberi e legali, portando il mondo arabo al collasso e alla dipendenza da forze esterne.
Nella maggior parte dei Paesi arabi, lo Stato non è riuscito ad essere efficiente in settori come lo sviluppo, l’amministrazione e la governance, tantomeno è riuscito ad assicurare ai suoi cittadini diritti, libertà, stato di diritto, giustizia ed uguaglianza. Ciò che ha contraddistinto di più la pratica delle funzioni statali è stata la mancanza di vincoli morali, che si è tradotta essenzialmente in repressione e abusi in nome della legge. Ed è proprio per questi motivi che nella maggioranza dei Paesi arabi lo Stato è stato distrutto.
Eppure, nonostante le dispute sui vari modelli statali continuino, come anche il sistema politico autoritario, il conflitto arabo sullo Stato, sul suo ruolo, sui suoi confini e sui diritti dei suoi cittadini ha visto un punto di svolta nel 2011. Come soluzione alla crisi giuridica, molti Paesi arabi hanno cercato di rifugiarsi nella democrazia procedurale e formale che include la quota delle elezioni, delle circoscrizioni, dei voti e della rappresentanza. Tuttavia, il potere e l’autorità sono rimasti nelle mani di una classe dirigente che non è sottoposta alle elezioni, né ha una vera responsabilità. La democrazia formalista d’élite è meglio della sua assenza, ma essa con il tempo ha bloccato il processo politico e di sviluppo. Nella democrazia procedurale araba, il potere esecutivo può cambiare la legge elettorale in modo individuale e può nominare il governo o influenzare la nomina del governo senza riferirsi all’elettore, giocando così al gioco della democrazia senza metterla in pratica. Questo sistema ha contribuito alla corruzione dello Stato e a un calo significativo dell’amministrazione, della produzione, dell’istruzione, della sanità e di tutti quei servizi che esso dovrebbe fornire.
L’evoluzione della democrazia nella storia è giunta con lo scopo di trovare una soluzione pacifica ai cambiamenti relativi ai governi, alle politiche e ai politici stessi, alla luce di uno spazio ampio di libertà e di diritti. La restrizione della democrazia alla sola elezione del parlamento mette in discussione e determina il ritmo della vita politica e della sua responsabilità, ma l’impatto di questa resta limitato se non viene accompagnata dalla capacità di prendere decisioni governative, politiche e di applicare le leggi. Questo è il dilemma della democrazia formalista.
Inoltre, i Paesi arabi hanno visto la diffusione di una forma di isolamento non solo da parte di categorie che esercitano la violenza, come i jihadisti, ma talvolta anche da liberali, laici, da quelli di sinistra, dagli intellettuali, dai giuristi, da una setta o una minoranza nazionale. In questi Paesi, l’eco del potere risuona più forte nella società, creando casi di terrorismo intellettuale o di massa. Questo isolamento ha portato di fatto alla creazione di una condizione di alienazione tra le diverse classi sociali e lo Stato, ed è questa la trappola in cui si trova oggi il mondo arabo. L’isolamento politico è un sistema dove i cittadini non godono di diritti e della possibilità di un cambiamento politico pacifico. Avanzare l’esperimento democratico in una società che non ha uno spazio pubblico aperto, né la prospettiva di una transizione verso una realtà politica democratica più inclusiva non è possibile.
Nonostante la situazione difficile in cui riversano i Paesi arabi a partire dal 2011, anno che ha annunciato l’inizio storico della caduta del contratto sociale tra il legislatore e il cittadino, sulla questione dei diritti umani, dello sviluppo, della giustizia e del ruolo dello stato continueranno ad occuparsene gli attivisti, i rivoluzionari e i riformisti arabi fino a quando un nuovo contratto sociale, che bilanci entrambe le parti, non verrà raggiunto. Il mondo arabo si trova dunque in un momento di transizione caratterizzato da anni difficili e da conflitti appena iniziati.
Shafeeq Nazem al-Ghabra è un professore di scienze politiche dell’Università del Kuwait.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu
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