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Palestina: la riconciliazione prima di tutto

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Hamas, Fatah e il prossimo tentativo di ricomposizione del mosaico mediorientale

Di Fatine al-Dajani. Al-Hayat (11/01/2017). Traduzione e sintesi di Emanuele Uboldi.

Tra le questioni nell’agenda palestinese per quest’anno, la pacificazione è una delle scadenze principali, tanto sul piano nazionale, quanto per risolvere anche questioni palestinesi con un’intesa locale, regionale e internazionale.

La settimana prossima a Mosca si terrà un incontro tra le fazioni palestinesi per cercare la riconciliazione tra Hamas e Fatah. Non è chiaro se questi sforzi daranno frutti, ma molti – tra i quali la Russia stessa, non ci scommetterebbero sopra: si noti che l’invito per l’incontro arriva da un centro di studi, non dallo stato o dal ministero degli Esteri, a monito dei numerosi precedenti falliti tentativi di riconciliazione, tra i quali quelli di attori regionali (Arabia Saudita, Egitto e Qatar). La riconciliazione deve essere prima di tutto tra due programmi: quello dell’organizzazione di liberazione che riconosce Israele e gli attuali accordi, oltre a rifiutare la violenza, e quello di Hamas, movimento di resistenza. Per quanto la distanza tra i due attori si assottigli nella realtà, entrambi sono infatti diventati partiti al potere (uno a Ramallah, l’altro a Gaza), uno crede nei negoziati e nella diplomazia, l’altro nella resistenza armata (nonostante il blocco delle ostilità dopo la tregua a seguito della guerra del 2014).

Ostacoli alla riconciliazione sono anche l’opposizione internazionale al governo di Hamas a Gaza e il voto – per la prima volta, a favore di un “federalismo” tra la striscia di Gaza e Cisgiordania. A ciò si aggiungono le richieste che la Cisgiordania torni sotto protezione giordana e la striscia di Gaza sotto protezione egiziana, oltre al progetto israeliano sostenuto da Donald Trump di riunire gli insediamenti maggiori sotto lo stato di Israele e lasciare i palestinesi in quello che resta della West Bank.

Questo non significa che non ci possano essere risvolti positivi a seguito dell’incontro di Mosca, dato che la Russia pone la questione palestinese all’interno della strategia di contenimento mediorientale, che si basa sulle buone relazioni tanto con Netanyahu quanto con Mahmoud Abbas, oltre all’intesa con Turchia, nella misura in cui questa ha influenza su Hamas. Sarà opportuno anche aspettare i risultati del Consiglio Nazionale Palestinese di marzo, al quale parteciperanno anche Hamas e gli attori del jihad.

Gli appuntamenti della fitta agenda del primo trimestre 2017 (la Conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente a Parigi tra pochi giorni, il vertice della Lega araba ad Amman a marzo, il vertice dell’Organizzazione della cooperazione islamica in Malesia) non aumentano la posta in gioco della questione palestinese, ma nemmeno la portano in secondo piano.

La parola chiave, sia in prospettiva palestinese, sia in quella araba, è “riconciliazione”. La mancanza di soluzioni nel breve periodo potrebbe preparare il campo a una nuova grande intifada di protesta contro la nuova amministrazione USA, soprattutto qualora l’ambasciata americana fosse spostata da Tel Aviv alla Gerusalemme occupata (secondo la prospettiva palestinese).

Fatine al-Dajani è una giornalista per la testata panaraba Al-Hayat.

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