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Egitto: allarme santa alleanza

Mohamed Haramsy (Elaph – 05/08/2012). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Non è del tutto infondato nell’Egitto postrivoluzionario, guidato dai Fratelli Musulmani e a rischio di derive salafite, il timore che vengano imposte restrizioni alla libertà di espressione, come avviene nelle teocrazie saudita e iraniana o in paesi come l’Afghanistan, dove l’alleanza tra potere e religione soffoca ogni forma di creatività. Timori che riguardano sia le associazioni per i diritti civili e per la parità di genere che gli ambienti intellettuali. Diversi scrittori, interpellati sull’argomento, hanno manifestato le loro inquietudini riguardo l’ascesa dei cosiddetti “mercanti della religione”, personaggi politici che utilizzano l’islam come un marchio per garantire la loro permanenza al potere. Un fenomeno tutt’altro che insolito nei movimenti di ispirazione religiosa.

Secondo il poeta Zine el-Abidine Fouad è possibile che l’islam politico dominante imponga un giro di vite alle libertà individuali, persino rispetto ai militari, ma in tal caso dovrebbe scontrarsi con una forte resistenza popolare. Artisti e intellettuali dal canto loro sono pronti a rispondere a colpi di penne e pennelli al fianco della società civile per svelare le tendenze controrivoluzionarie dei “mercanti della religione”. Inoltre il professore di scienze del teatro Nabil Bahgat ritiene improbabile un paragone tra Egitto e Afghanistan o Iran perché l’islam ha molti volti e ogni paese ha la sua storia. Sulla stessa linea il poeta Sharif el-Shafei, secondo il quale eventuali atteggiamenti autoritari del nuovo governo egiziano si scontrerebbero con la resistenza di buona parte della società. In Iran, Arabia Saudita e Afghanistan opporsi alle autorità non è solo un reato ma anche un peccato, un aspetto che poco si adatta a un paese come l’Egitto che con una rivoluzione ha spodestato un regime fino a poco tempo fa ritenuto incrollabile.

Tra gli intervistati ci sono anche alcune donne, come la poetessa e traduttrice Huda Hussein, che prevede atteggiamenti censori da parte delle nuove autorità soprattutto in campo religioso e sessuale, oltre che politico, i tre tabù tipici dei regimi autoritari. Basma el-Husseini ritiene invece che non ci si debbano aspettare maggiori restrizioni rispetto a quelle già volute dai regimi precedenti. Limiti che provengono non solo dalla legge ma anche dalla diffusione nella società egiziana di tendenze conservatrici, fortemente caldeggiata da uno “stato di polizia ancora in piedi”. Un meccanismo che ha impedito xalla compagnia Progetto Corallo di esibirsi a causa dei testi delle loro canzoni, critiche nei confronti dei militari. Tutto dipenderà, fa notare la scrittrice Shirin Gharabil, dalla capacità del governo di ottenere legittimazione popolare nel tentativo di limitare la libertà di espressione. Ad esempio, presentando la creatività come una minaccia per i valori tradizionali in cui si riconoscono larghe fasce della società egiziana, o annoverando l’arte tra le forme di espressione colpite da proibizione religiosa. Tuttavia, aggiunge, che l’Egitto sia diverso dalle teocrazie islamiche è stato ampiamente dimostrato dalla rivolta del febbraio 2011, che ha fatto capire come il popolo sia capace di abbattere qualsiasi regime percepito come oppressivo.

Lo scrittore al-Seyyed Najm sostiene invece che la società egiziana è troppo divisa per poter far fronte a eventuali giri di vite delle autorità, ma che gli esponenti dell’islam politico egiziano sono “troppo intelligenti” per imporre restrizioni dopo una rivoluzione. Simile la posizione dello scrittore Baha Abdel Majid, che esclude l’eventualità che il nuovo governo rischi di esporsi allo scontro frontale con la popolazione, anche perché tra le sue priorità figura la fine del “degrado fisico e morale” in cui i cittadini hanno vissuto all’epoca del deposto presidente Hosni Mubarak e dei militari che ne hanno preso il posto. A ciò la scrittrice Ghada Abdel Moneim aggiunge che la presenza dei Fratelli Musulmani al governo se da un lato ha dato all’islam politico il potere di legiferare, dall’altro lo espone ad accuse di corruzione e nepotismo. In questo gli intellettuali possono esercitare una forma di controllo sulle autorità, che sarà più efficace se riusciranno a esercitare pressioni su ministeri come quello della cultura, dell’istruzione e della ricerca o dell’informazione.