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Storia e sogni di un prigioniero di Guantanamo

Di Fahdi Ghazy. Al Huffington Post Maghreb (10/12/2014). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

Non sono ISN 026: questo è solo il numero che mi è stato assegnato dal governo. Il mio vero nome è Fahd Abdullah Ahmed Ghazy. Sono un essere umano, un uomo che è amato e che ama.

Prima di tutto, vogliate scusarmi se non dico le cose come si dovrebbe o se utilizzo argomenti non congeniali, ma differenti culture ed esperienze ci separano. Non ho il privilegio di esprimermi e ne soffro. Sarei onorato di parlare con la mia propria voce e vi ringrazio di interessarvi alla mia storia e di considerarmi un essere umano: per me è una cosa importante.

Mi hanno rinchiuso a Guantanamo a 17 anni, oggi ne ho 31 e sono cresciuto in questo sistema. Sono cresciuto nella paura. Spero che questo vi aiuterà a farvi capire. Spero di essere ascoltato, io che a Guantanamo vengo sempre ignorato. In 13 anni di imprigionamento non ho mai potuto raccontare la mia storia a nessuno. Mi sarebbe piaciuto descrivervi questi 13 anni a Guantanamo, ma mi mancano le parole che possano realmente farvi cogliere a pieno cosa sia qui la realtà.

Durante questo periodo ho perso talmente tante cose, fuori e dentro della prigione. La verità è che se tornassi nel mio villaggio sarei uno straniero anche tra chi mi ama di più. Omar mi ha portato delle foto scattate mentre veniva girato il film Waiting for Fahd”. Ho provato, mentre le consumavo a forza di guardarle, di ricordarmi come fosse la mia vita prima di Guantanamo ma non ci sono riuscito. Non sono neanche riuscito a riconoscere i visi dei miei migliori amici. Il mio fratellino Abdu al Rahim, di cui mi sono occupato da piccolo, non mi conosce: ha solo sentito parlar di me. Le generazioni passate sono quasi tutte partite, mentre io aspettavo.

La perdita più tragica che ho dovuto sopportare qui a Guantanamo è stata la morte di mio zio che alla morte di mio padre lo aveva sostituito come figura paterna. Non ha mai partecipato alle sessioni video Skype perché non poteva sopportare di vedermi imprigionato qui e l’unica volta in cui si è deciso a parlarmi l’ho visto cadere indietro sulla sedia con il capo riverso dopo avermi detto: “Ti vogliamo bene. Ti aspettiamo. Continueremo ad aspettarti”. Era morto. In quel momento ho capito veramente cosa fosse Guantanamo e il potere che può esercitare dall’interno e dall’esterno.

Il tempo mi ha lasciato indietro, qui a Guantanamo. Qui non esistono i concetti di colpevolezza o di innocenza, sono idee vuote. Sono stato dichiarato innocente nel 2007 ma sto ancora aspettando che mi liberino. Quando ho rivisto Omar, dopo che è tornato dallo Yemen, ero così contento di poter parlare con qualcuno che avesse rivisto mia moglie, mia figlia, e per un attimo mi sono sentito “riconnesso”.

Voi potete dare il vostro contributo, potete aiutarmi. Bambini, vi chiedo di pensare a mia figlia, Hafsa. Giovani, vi chiedo di tenervi stretto il vostro ricordo di quando avevate 17 anni. Pensate che io sono stato privato di tutto quello di cui ha bisogno un giovane per maturare: un lavoro, un’istruzione, esperienze formative. Spose, pensate a mia moglie che ha passato la primavera della sua vita ad aspettarmi, occupandosi da sola di Hafsa. Madri, pensate a me quando pensate ai vostri figli.Pensate a mia madre a cui manco. Padri, pensate a me nei momenti in cui cerco di connettermi con mia figlia dal profondo di questi luoghi.

Ora che avete ascoltato la mia storia e conosciuto i miei sogni, non potete rivolgere altrove lo sguardo. Potreste essere scusati se non sapeste ma ora che sapete, non potete fare come se niente fosse.

Ve lo chiedo: siate una voce per un senza-voce, per un altro essere umano che soffre.

Fahdi Ghazy è un detenuto di Guantanamo.

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