Politica

“Lettere da Guantanamo” di Laura Silvia Battaglia

guantanamo
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

Guantamo è un lembo di terra nella regione sud orientale dell’isola di Cuba, disseminato di cactus e piante di agave, dove lo sguardo si perde nell’azzurro del Mar dei Caraibi. Ma Guantanamo è anche e soprattutto sinonimo della più famosa prigione militare del pianeta, quel carcere statunitense in terra cubana dove da anni ormai si consumano violazioni dei più elementari diritti umani.

“Lettere da Guantanamo” è un reportage realizzato da Laura Silvia Battaglia e pubblicato dalle Edizioni Centouno, che ci racconta la situazione di molti detenuti yemeniti rinchiusi nel carcere di massima sicurezza di Guantanamo Bay (GTMO).

La prigione in cui ancora sono rinchiusi centinaia di detenuti, doveva essere chiusa già nel 2009 per volere dell’allora presidente Barack Obama, chiusura che non è stata mai realizzata per manifesta volontà del Congresso americano, che ha sempre rifiutato di stanziare i fondi necessari per il trasferimento dei detenuti in strutture su suolo americano. Anzi, si è cercato in tutti i modi di insabbiare il dibattito su Guantanamo, non parlarne è come non farlo esistere, ma nel 2015 esplode la bomba del “Guantanamo Diary” del prigioniero Mohamedou Ould Slahi che rivela al mondo come quella prigione sia un luogo senza diritti e senza speranza.

Nel frattempo Guantanamo assume anche una forte valenza simbolica, in concomitanza con l’ascesa di Daesh: le tute arancioni indossate dai detenuti di Guantanamo sono le stesse che i miliziani dell’ISIS fanno indossare ai loro prigionieri per sgozzarli davanti alle telecamere.

Tutto sembra aver inizio con l’11 Settembre 2001, la madre di tutte le ingiustizie. È infatti a seguito degli attentati alle torri gemelle e alle guerre in Afghanistan e Iraq che ne sono seguite che si aprono le porte della prigione cubana per centinaia e centinaia di uomini arabi, mediorientali e nordafricani, spesso e volentieri estranei ai fatti di terrorismo che hanno scatenato il nuovo terrore globale. E la Battaglia ci racconta le vicende di alcuni di loro, ragazzi yemeniti che si sono ritrovati rinchiusi a Guantanamo senza nemmeno un capo d’accusa valido, senza aver subito alcun processo e senza avere la benché minima possibilità di difendersi.

Si susseguono così i racconti delle storie di Salman al-Raeyee, di Abdusalam al-Helah e di Haiel al-Methali, ognuna diversa eppure ognuna in fondo uguale, con le stesse modalità che hanno portato all’arresto di questi uomini, con le medesime angosce vissute dai familiari le cui vite sono distrutte insieme a quelle dei cari rinchiusi, anche per la riprovazione sociale che li emargina e li umilia.

Ma perché così tanti prigionieri yemeniti presenti a Guantanamo? La Battaglia rivolge l’interrogativo al sociologo, docente all’università di Sanaa, Hamoud al-Awdi il quale non ha dubbi sul fatto che le motivazioni vanno rintracciate nella precaria situazione economica del Paese, lo Yemen, che a partire dagli anni ’90 è progressivamente scivolato verso livelli di vita sempre più bassi, favorendo in tal modo la migrazione verso l’Europa, gli USA o verso i vicini paesi ricchi del Golfo, determinando una nuova identità sociale che spesso passa attraverso una connotazione religiosa. Le nefaste leadership del paese hanno creato una gioventù depressa che ha spesso trovato nell’arruolamento fra le fila del terrore l’unica forma di riscatto sociale.

Al momento sono ancora 52 gli yemeniti rinchiusi a Guantanamo e non si placa l’attività internazionale che spinge per la chiusura della struttura. Amnesty International ribadisce l’illegalità di Guantanamo, un luogo dove sono custoditi terribili segreti che dovrebbero essere rivelati al mondo nel caso venisse chiuso. Ma gli Stati Uniti continuano impunemente a gestire la struttura, a non incorrere in sanzioni. E l’arrivo del nuovo presidente americano non lascia ben sperare per una imminente chiusura di Guantanamo Bay.