Golfo Zoom

Un esilio intellettuale nel Golfo

EAU Golfo

Di Nisreen Bajis. Your Middle East (29/05/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi

Il nazionalismo è un’affermazione di appartenenza a e radicamento in un luogo, un popolo, un’eredità. Esso invoca la casa creata da una comunità di linguaggio, cultura e usanze; e, così facendo, esso rifiuta l’esilio, combatte per impedire le sue devastazioni – Edward Said

Da qualche parte, tra le sabbiose spiagge di Perth, Australia Occidentale, e quelle di Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti, c’è un cuore inquieto, metà arabo e metà australiano, sospeso tra malinconia e tempeste di sabbia. L’esilio fiorisce nell’isolamento. Il mio trasferimento nel Golfo in teoria è stato volontario, ma in pratica corretto con la fuga. Una via autoproclamata verso la ripresa, il controllo, la sicurezza economica e forse perfino l’amore. Il risultato, comunque sia, è stato l’esilio.    

Non c’è nulla di particolarmente unico nelle esperienze qui descritte, ciò che è unico è quanto queste siano numerose e temporali. Sentimenti di conquista, distacco, eccitazione, ansia e desiderio sono condivisi dalla maggior parte di coloro che hanno deciso di cambiare stile di vita e tentare un’avventura nel Golfo. Palestinese di nascita, l’arabo è la mia prima lingua ma anche io qui sono una straniera, un’espatriata. Per definizione, un espatriato è semplicemente chi decide di lasciare il proprio Paese per prendere la residenza in un altro. Questo trasferimento è del tutto volontario, senza espulsione forzata o desiderio di rimanere nel Paese d’origine. La realità, però, suggerisce che anche se stiamo solo scappando dai cieli grigi di Londra, dall’isolamento dell’Australia o dalla crisi economica e politica del Nord Africa, stiamo comunque scappando da qualcosa e, forse, avviandoci all’esilio.     

L’esilio, come descritto da Edward Said è una condizione di perdita irrecuperabile, trasformato in un potente, perfino proficuo, motivo della cultura moderna. Quello che una volta era una condizione usata per descrivere lo stato dei dissidenti, spinti a cercare asilo in terre più indulgenti, o dei rifugiati, separati dalle loro case per forze molto più grandi di loro, ora è diventato un asilo auto-indotto. Per inseguire il successo, l’uomo e la donna moderni sono finiti in uno stato perpetuo di solitudine e isolamento.

Questo isolamento è particolarmente reale proprio qui nel Golfo, specie in città come Dubai e Abu Dhabi. Circondati da così tante persone, inseguono sogni incontentabili, guardano al concreto e non alle persone. Forse le vedono, ma sono in difficoltà quando si tratta di stabilire relazioni reali.

L’idea è di continuare a consumare, non contare e non fermarsi mai. Consumano le persone nello stesso modo in cui consumano da mangiare e da bere. Ogni settimana un brunch diverso con nuove persone. Sono troppo presi dal loro esilio per notare quello degli altri.

Fisicamente l’esilio può essere condiviso, ma l’esilio della mente è molto più difficile da rendere uguale. È la condizione moderna, eppure riciclata, di una generazione ossessionata dalla mobilità, che tuttavia vive una vita perlopiù stagnante o in uno stato mentale perennemente stagnante. La paura della mediocrità li ha resi banali. Inseguono cose invece che idee, vanno a caccia di sporadiche esplosioni di divertimento e vivono nella semi paura che possano perdersi qualcosa (o qualcuno) di divertente.

Il Golfo è un hub del mondo, un vero crogiolo di persone di ogni estrazione sociale. Un misto di tradizionale e ultra moderno, conservatore e selvaggio. Tutto sembra un paradosso qui, ma abbastanza ben conciliato. Si ha la sensazione di essere sulla soglia della grandezza, ma anche di una grande rovina. Si può fare qualsiasi cosa fin tanto che non si è troppo pubblici. È meglio parlare di bellezza, moda e posti per uscire, piuttosto che discutere di qualcosa di lontanamente metafisico o spirituale. Quando questo accade, infatti, le persone ti evitano, perché sembra sfidare il loro stato di esilio e forse ricorda loro la grande fuga. Di solito le persone non vogliono essere ricordate. Raramente vedo gente al ristorante mangiare senza prima farsi un selfie o mettere su Instagram il loro piatto. Sono più interessati a quanti “Mi piace” ricevono sui social che a godersi il cibo e la compagnia.   

Il mio esilio qui è un esilio intellettuale e sono alla ricerca di altre persone intellettualmente esiliate, nella speranza che il nostro esilio collettivo possa diventare la nostra nazionalità. Che le nostre menti possano essere la nostra identità, le nostre anime inquiete il nostro inno nazionale e il nostro desiderio di essere la nostra storia.

Con questo mi sono data un compito difficile, ma che prendo sul serio. Alla fine, e con tutto il caos che c’è nel mondo, non abbiamo altra scelta che fare di noi stessi la nostra casa e delle altre persone la nostra nazione. Se ne siamo capaci, allora il nostro esilio può essere condiviso e, così facendo, sentiremo la metà del dolore e il doppio della gioia.

Nisreen Bajis è una consulente legale con base ad Abu Dhabi.

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