Di Salam Saadi. Rudaw (21/08/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo
I raid degli Stati Uniti contro lo Stato islamico (Isis), il loro aiuto militare e umanitario ai Curdi, avvenuto in coincidenza con la deposizione dell’ex primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, immediatamente accolta dalla comunità internazionale, tutto sembra far parte di uno sforzo comune per portare l’Iraq fuori dalla sua lunga crisi.
Gli Usa continuano a impegnarsi in Iraq dunque, per evitare che i quattromila soldati morti e i miliardi di dollari spesi nell’ultima guerra non siano valsi a nulla. Al contempo, però, i sunniti moderati che inizialmente avevano preso parte al processo di ricostruzione istituzionale sono stati ben presto allontanati da al-Maliki, con mezzi non sempre politici. Risultato: hanno lasciato campo libero alle forze brutali e fasciste dell’Isis.
L’Isis non è interessato al dialogo e non ci sono speranze di integrarlo in un qualsiasi processo politico. Le recenti dichiarazioni di uno dei portavoce del gruppo sono state particolarmente eloquenti. L’Isis ha attaccato il Kurdistan iracheno autonomo (Krg – Governo regionale curdo) perché i Curdi hanno oltrepassato i loro confini politici inviando truppe fuori dal loro territorio, sia pure in aree a maggioranza curda, per riempire i vuoti lasciati dall’esercito di Baghdad. L’Isis dunque si sente in diritto di respingere i Curdi nei confini che aveva fissato loro il regime di Saddam Hussein.
Ciò dimostra che non si tratta di un gruppo di folli armati fino ai denti che hanno letto troppi testi religiosi e con eccessivo zelo. Nella loro linea, militare e politica, il nazionalismo è altrettanto radicato della religione. A parte i jihadisti stranieri, le bande dell’Isis sono costituite da vecchi funzionari militari e delle forze di sicurezza del partito Baath, fuggiti in Siria dopo la caduta del vecchio regime. Gli stessi funzionari che negli anni ’90 si sono dati alla religione e hanno iniziato a decapitare le prostitute e a tagliare naso e orecchie agli oppositori, riprendendo il tutto con una sorta di fierezza.
Lo Stato Islamico non è altro che un miscuglio di fatalismo islamico e nazionalismo radicale, che cerca una ricompensa per tutte le passate umiliazioni della nazione araba. Questo ne fa uno stato fascista. D’altra parte il fascino esercitato sugli islamici radicali dal fascismo non desta stupore, visto che Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli musulmani egiziani, ha scritto in un suo libro del 1935 che il dittatore fascista italiano Benito Mussolini stava praticando uno dei principi dell’islam. La relazione tra estremismo islamico e fascismo dunque è storica. Gli estremisti hanno usato il Corano per disprezzare e vessare i non arabi, ad esempio affermando che dio ha inviato la sua ultima rivelazione nella loro lingua.
La questione dunque è come trattare con un gruppo simile. Sembra impossibile poterlo distruggere completamente. Infatti non si ha più a che fare con l’ideologia di un gruppo di militanti, ma con l’ideologia di uno Stato. Questo gruppo ha già fondato uno Stato esteso nei confini di due paesi, Iraq e Siria. Se un giorno dovesse prendere il potere in Iraq, non è affatto chiara la sorte di Curdi, cristiani e sciiti. Piuttosto lo Stato islamico incarna la certezza di anni futuri di guerre e uccisioni, sia in Iraq che nell’intera regione. Nello stesso modo in cui Tedeschi e Italiani hanno pagato a caro prezzo i loro fascismi, la popolazione irachena, in particolare i sunniti, rischiano di pagarne uno ancora maggiore. A meno che non decidano di unirsi per elaborare una solida alternativa moderata allo Stato islamico.
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