Se rimane il regime, rimane la rivoluzione

Bandiera siriana Siria

Di Fatima Yassin. Al-Araby al-Jadeed (13/12/2016). Traduzione e sintesi di Laura Formigari.

Sono trascorsi più di tre anni dalla battaglia di Qusayr durante la quale Hezbollah si è scagliato contro le forze di opposizione locali ed è riuscito ad entrare dopo un mese nella cittadina, appendendo lo striscione “vendetta per Hussein” sopra la moschea principale. La stampa, di ogni tipo e orientamento, ha suggerito una corrispondenza tra l’esito degli scontri e quello della rivoluzione, focalizzando l’attenzione sullo scontro confessionale. Allo stesso modo si è sul fatto che l’esito della battaglia di Aleppo Est avrebbe segnato la fine della rivoluzione.

La pressione mediatica è andata aumentando con l’avanzata delle forze di regime finché la città è caduta effettivamente sotto il suo controllo. I toni si sono ulteriormente alzati con la conferenza Amici della Siria che ha portato all’accettazione di negoziati “senza pre-condizioni”, voluti dal Segretario di Stato John Kerry, “promotore” della rivoluzione, e dal capo della direzione negoziale Riad Hijab. Regnava la sensazione di una rivoluzione negata e che tutto si sarebbe risolto in un nulla di fatto. Aleppo era diventata il centro della resistenza, la vittoria sarebbe stata del più forte e dei vari attori a lui legati da accordi e alleanze, da piccoli e grandi interessi. Queste logiche sono proprie delle guerre ad interim e non hanno nulla a che fare con l’esito della rivoluzioni che, invece, si rifanno a contesti diversi.

Ad Aleppo, a Qusayr e altrove lo scontro era puramente militare e mirava all’acquisizione di terra in preparazione delle prossime battaglie. Le opposizioni, la maggior parte delle quali di impronta islamica, hanno inondato le aree sotto il loro controllo di manifesti inneggianti alla Sharia e al governo di Allah, mentre il regime recuperava terreno. Questi “comportamenti” militari hanno fatto venire a galla il concetto di guerra civile che si è poi imposto sui media e sulla mentalità diplomatica occidentale, che crede di contribuire in modo efficace quando applica le sanzioni contro una parte o l’altra. La situazione sul campo, però, è diversa.

La rivoluzione siriana è iniziata con una manifestazione nel mercato di Hariqa a cui ne sono seguite altre in diverse città. Malgrado la loro natura disorganizzata e la successiva repressione, la consapevolezza che la situazione non era più sostenibile continua a riempire le coscienze e questo sentimento non ha nulla a che fare con le armi o il sostegno internazionale, né con i consigli di sicurezza o le assemblee generali.

La rivoluzione è una volontà collettiva che si è radicata nel corso della guerra; non si nutre di battaglie ne’ di armi, la sua esistenza è legata a quella del regime che è rimasto sempre uguale a sé stesso, che ha represso l’opposizione per decenni e che ora si ritrova in una fase di crudeltà e violenza inaudite.

Fatima Yassin è una scrittrice siriana

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