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L’Islam permette la rappresentazione del Profeta. A quali condizioni?

Vignetta Profeta

Di Louis Imbert. Le Monde (15/01/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

“Tutto è perdonato” e il profeta Mohammad in lacrime che tiene un cartello con scritto “Je suis Charlie”. L’ultima prima pagina di Charlie Hebdo è una nuova vignetta del profeta e ripropone la questione della rappresentazione della principale figura nella tradizione islamica.

Il Corano non vieta la rappresentazione del profeta, né quella umana in generale. Inscritto in una società, quella dell’Arabia nel VII secolo, in cui l’immagine è più che altro assente, il testo ne fa menzione solo una volta: “Il vino, i giochi d’azzardo, gli idoli sono abomini inventati da Satana”. Nemmeno la sunna, cioè l’insieme delle parole e delle azioni di Mohammad che costituiscono un corpus distinto dal Corano, vieta la rappresentazione del profeta. Tuttavia, essa indica un’attitudine di sfiducia nei confronti della rappresentazione umana e animale, in quanto immagini sospette e legate agli idoli, le statue pagane.

Nella raccolta degli hadith (i “detti” del profeta) di Mohammed al-Bukhari (810-870), vengono identificati tre atteggiamenti circa le rappresentazioni: tollerarle, ma astenersi dal produrle; condannarle; distruggerle. Ciò che viene rimproverato ai produttori di immagini è il fatto di prendere in giro il lavoro di Dio, di creare un qualcosa di parallelo alla creazione divina.

Il rito, dunque, esclude le immagini, come nell’ebraismo e nel calvinismo: non si trovano immagini nelle moschee. Tuttavia, ciò non impedisce alla gente di averne in casa o di affiggerle in strada, nello spazio profano. Se ne trovano esempi dell’epoca dei califfi omayyadi di Damasco, del periodo mongolo dell’India, dell’Impero Ottomano e in Persia; figurano nelle cronache storiche, nelle opere letterarie e poetiche, negli scritti mistici.

A partire dal XVI secolo, il profeta inizia ad essere rappresentato senza volto, coperto da un velo bianco. Appare anche coronato da un’aureola o circondato da fiamme, simboli che sottolineano la sacralità della sua figura. Oggi, si possono ritrovare altri esempi nei libri illustrati  di educazione religiosa per bambini in Iran.

Di fatti, a partire dal XIX secolo, le immagini del profeta proliferano in tutto il mondo musulmano. Tra gli sciiti iraniani, iniziano a diffondersi santini che rappresentano a volte Mohammad o i dodici imam (Ali, genero del profeta, e i suoi eredi). Nei giorni della Achoura (festa sciita per la commemorazione del martirio dell’imam Hussein), per le strade di Baghdad e Teheran vengono branditi manifesti che lo raffigurano.

Di contro, il mondo sunnita si mostra ostile alla rappresentazione della figura del profeta. Negli anni ’20 in Egitto si era provato a rappresentarlo a livello cinematografico, cosa che subito incontrato la condanna da parte di Al-Azhar. Inoltre, il re Fouad I aveva minacciato di privare della cittadinanza egiziana l’attore che doveva interpretare Mohammad.

Oggi, la Disney produce cartoni animati che spiegano ai bambini come’è nato l’islam, ma senza che il profeta venga rappresentato: ci si avvale di un narratore o di figure simboliche.

Louis Imbert è un giornalista di Le Monde.

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