Di Elias Muhanna. Qifa Nabki (03/01/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Dopo l’esplosione suicida in Haret Hreik, il vice segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha avvertito che il Libano era sulla “strada per la rovina”. Dichiarazioni come questa sono diventate una routine, così come gli incidenti che le generano. Personalità politicihe e opinionisti ci dicono ogni giorno che il Libano rischia di aprire le porte all’inferno, che è sull’orlo dell’abisso, che il peggio piomberà presto su di noi.
Una mia parente ha l’abitudine di chiedermi di predire il futuro del Libano: “Si può uscire in strada oggi? Il vicinato è al sicuro? Cosa succederà?”. Purtroppo per lei, sono allergico alle previsioni, ma alla luce dei recenti eventi ho deciso di infrangere la tradizione e scrivere questo saggio. Che sia di un qualche aiuto per il futuro del Libano o che sia solo il riflesso del mio umore nero, sta a voi deciderlo.
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Qual è la peggiore delle ipotesi? Nel 2014, il peggiore scenario del Libano ha inizio con una sequenza di autobombe dirette su moschee, ambasciate e sedi di partito. Il tira e molla delle bombe è diventato sempre più sfrontato e spettacolare, sfociando nelle aree residenziali e commerciali e negli alberghi principali.
Entro l’inizio di marzo, il numero di vittime tra i civili raggiunge le diverse centinaia. Gli ospedali sono strapieni; ci sono richieste per donazioni di sangue ogni giorno; l’economia vacilla; i connazionali all’estero vengono richiamati in patria; le vendite di alcol, armi e droghe arrivano alle stelle; le scuole chiudono due giorni su cinque.
Allo stremo delle forze, l’esercito libanese sta a guardare mentre Hezbollah rinforza le sue postazioni di sicurezza e i sunniti prendono il controllo di diverse zone di Tripoli. I sospetti salafiti vengono arrestati e una rivolta nella prigione di Roumieh causa la morte di una dozzina di guardie.
L’umore di Hezbollah rimane sprezzante mentre il partito raddoppia il suo impegno in Siria. Nasrallah continua a parlare di una lotta esistenziale in Siria, mentre pensa alle conseguenze della formazione di un governo senza il coinvolgimento del suo partito.
Con l’arrivo della primavera, masse di siriani escono dalle loro roccaforti invernali solo per scoprire cieli pieni di bombe che cadono dagli elicotteri dell’esercito siriano. Il numero delle vittime è disgustoso. Decine di migliaia di civili fuggono tramite il confine ogni settimana. I rifugiati in Libano raggiungono ora un terzo della popolazione nazionale. La gente mormora di aggiungere “i rifugiati” alla lista delle comunità ufficiali del Libano e di garantirgli seggi in parlamento.
Entro l’inizio dell’autunno, gli scontri tra le milizie dei rifugiati siriani in Libano, le truppe di Tripoli e le camice nere di Hezbollah sono routine. Un giorno sì e uno no si verifica un incidente della sicurezza.
Mentre ci si avvicina alla fine dell’anno, il Libano versa in uno stato di guerra civile a bassa intensità. L’esercito ha iniziato a fratturarsi lungo le linee settarie. Gli arsenali vengono colpiti dai gruppi delle milizie e sofisticati dispositivi da bombardamento appaiono in cima ai convogli dei signori della guerra nei campi di rifugiati. Hezbollah teme di essere troppo impegnato in Siria, così l’Iran invia gruppi speciali alle stazioni di comando in caso di un attacco israeliano, ipotesi sempre più probabile. La crisi dei rifugiati peggiora giorno per giorno. L’economia è in caduta libera.
La lotta si fa sempre più “esistenziale” nonostante il fatto che, come in Siria, c’è sempre meno da combattere ogni giorno che passa. Questa è l’ipotesi peggiore.
Buon anno.
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