di Katia Cerratti
Icona della Resistenza libanese, donna d’altri tempi, indomabile, combattente, fiera, coraggiosa e con una grande fede. Tutto questo era Jocelyne Khoueiry, eroina della guerra civile libanese del ’75, morta il 31 luglio scorso all’età di 64 anni, dopo una lunga malattia.
Da quella notte del 6 maggio 1976, quando appena ventenne, insieme a sei delle 12 compagne che componevano il suo gruppo, imbraccia le armi per difendere il suo paese dai palestinesi e dai siriani, in piena guerra con l’OLP, riuscendo vittoriosamente ad affrontarne 300 in un edificio in Piazza dei Martiri a Beirut, Jocelyne diventa eroe della Resistenza cristiana e si ritrova al comando di mille combattenti. Tutti i giornali parleranno di lei. E’ già leggenda.
Ma ciò che colpisce di questa donna, non è tanto il fatto che sia stata una delle prime donne a prendere le armi in Libano, aspetto senz’altro eccezionale, quanto piuttosto l’evolversi del suo percorso di vita.
Dopo un serie di eventi, tra cui la stessa famosa notte del 6 maggio 1976, Jocelyne trasforma infatti la sua lotta per un’identità nazionale in qualcosa di diverso, nella ricerca di una elevazione spirituale concreta, in grado di fornirle gli strumenti per lottare comunque contro le ingiustizie e difendere la dignità del suo amato Libano senza l’uso delle armi.
Nata a Beirut il 15 agosto del 1955, cristiana maronita, una laurea in giornalismo e una in teologia, nel 1972 la giovanissima Jocelyne entra a far parte della sezione femminile del partito democratico Kataeb che aspirava all’indipendenza del Libano e si opponeva alla presenza siriana nella regione. Nel 1980 diventa responsabile del settore femminile delle Forze Libanesi con a capo il carismatico Bashir Gemayel, eletto presidente della Repubblica il 23 agosto 1982 e assassinato in un attentato un mese dopo.
Il suo battaglione, composto da 1000 donne, combatterà su tutti i fronti fino al 1986. Oltre a tanto coraggio e a una notevole forza fisica, Jocelyne ha la stoffa della leader ed esercita un forte carisma sulle sue compagne. E’ una guerriera, una donna forte che verrà soprannominata la reisseh (capo donna).
Ma la morte di Gemayel è un trauma troppo forte per la comunità cristiana, già dilaniata da sanguinosi scontri tra le varie milizie. Jocelyne depone definitivamente le armi.
La stessa eroina, in un’intervista a Tv2000, racconta come il primo seme di turbamento interiore si fosse manifestato in lei già la notte del 6 maggio del ’76, quando cominciò a pregare la Madonna affinché facesse morire lei e non le sue compagne, quelle compagne che erano lì per lei e che ai loro genitori avevano detto che stavano andando a distribuire panini.
Nel settembre 1988, Jocelyne viene in Italia e percorre 20 chilometri a piedi per incontrare Papa Wojtyla a Castel Gandolfo, in occasione della messa privata. Un incontro che segnerà per sempre il cammino della ex combattente libanese, un incontro in cui si fa sempre più forte in lei la consapevolezza che esiste anche una resistenza senza armi.
Jocelyne lo racconta così: “Il Papa mi si avvicinò e mi disse:”Tu hai combattuto?”- “Si” -risposi- ma la Madonna ci ha fatto un appello per servire il Libano in un’altra maniera”. Lui mi disse:”So che farete molto per il vostro paese” . E cosi fu. Proprio nel 1988 infatti, Jocelyne ha fondato La Libanaise-Femme du 31 mai, un movimento per aiutare le donne a sviluppare la vita spirituale e sociale e a sostenere le famiglie in difficoltà. E’ seguito poi, nel 1995, il movimento Sì alla vita, basato sull’importanza della vita umana, e, nel 2000, ha fondato il Centro Giovanni Paolo II, per aiutare coppie e famiglie in difficoltà.
Dalla morte alla vita dunque, dalle armi alla pace, La Jocelyne che si difende con il kalashnikov e la Jocelyne che difende la vita attraverso la preghiera e opere caritatevoli. Un contrasto forte che ben rende l’idea di quanto l’essere umano possa elevarsi e guardare il mondo attraverso un’altra prospettiva.
La reisseh ha deposto le armi per sempre ma il Libano continuerà ad onorarla. Così Samy Gemayel, attuale presidente del partito Kataeb:“Non piangerò la tua dipartita perché gli eroi non si piangono, agli eroi si tessono gli allori”.
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