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La rivoluzione secondo l’Arab Opinion Index

arab center research policy studies
La primavera araba dal 2011 al 2016: delusioni e aspettative

Anwar al-Jumawi. Al-Araby al-Jadeed (28/03/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.

L’Arab Center for Research & Policy Studies ha pubblicato l’Arab Opinion Index, un sondaggio annuale che osserva le tendenze dell’opinione pubblica araba rispetto ad una serie di questioni economiche, sociali e politiche. Questo studio, che è stato effettuato nel 2016 in 12 Paesi arabi, coinvolgendo 840 ricercatori nella realizzazione di 18.310 interviste, fra i vari argomenti tratta anche delle rivolte arabe, interrogando l’opinione rispetto a due punti essenziali: l’evento della Primavera araba in sé e le sue conseguenze.

Per quanto riguarda il primo punto, la maggior parte dei cittadini arabi interrogati (51%) ha definito positivamente i movimenti  popolari di protesta che la regione ha conosciuto nel 2011, mentre il 41% negativamente. Per i primi non si è trattato di un fenomeno spontaneo o passeggero, ma di un’azione di contestazione consapevole e significativa, prova dell’insofferenza delle persone verso la loro situazione. Il 41% ha dichiarato di aver protestato nel 2011 contro la tirannia e l’oppressione, per la democrazia e l’uguaglianza, e il 25% contro la corruzione. Ciò testimonia una trasformazione nella concezione della realtà circostante, una presa di coscienza della gravità della repressione e del peso della dittatura, degli inconvenienti della corruzione e del clientelismo.

Per quel che riguarda il secondo punto, ossia le conseguenze delle rivoluzioni arabe, lo studio mette in luce una divisione dell’opinione pubblica tra ottimisti e pessimisti: il 45% ha dichiarato che la rivoluzione in fin dei conti ha realizzato i suoi obiettivi; il 39% considera al contrario che la Primavera araba è già finita, e che i vecchi regimi sono tornati al potere. Rispetto al sondaggio del 2014, si registra un calo di ottimismo che va di pari passo con l’aumento del livello di frustrazione per le aspettative che i cittadini nutrivano nel destino delle rivoluzioni.

Se prima i dati mostravano la convinzione che la Primavera si sarebbe protratta nel tempo ed espansa nello spazio, e che avrebbe significato un progresso verso le libertà, la giustizia, la dignità, l’onestà, la sicurezza e il benessere, ciò che si è avverato nella realtà ha deluso queste speranze. Il costo della vita e la disoccupazione sono aumentati, mentre sono calati il valore della moneta locale e il potere d’acquisto; la corruzione si è intensificata invece di retrocedere, e il percorso verso una giustizia transitoria ha subito un arresto, penalizzando gli oppressi e assolvendo gli oppressori. Sulla Primavera araba è calata l’ombra della contro-rivoluzione in Egitto per mano dell’esercito, la sua degenerazione in conflitto sanguinoso in Yemen e Libia, la sua liquidazione in Siria attraverso il ricorso alle armi e il coinvolgimento di forze esterne. Mentre persiste la rivoluzione tunisina, anche se i risultati ottenuti in materia di diritti e di politica faticano a resistere di fronte alle difficoltà economiche.

E così, la sorte incerta della Primavera araba suscita negli animi un’inevitabile sensazione di frustrazione. Ma ciò non impedisce di sottolineare che il movimento di protesta ha davvero realizzato degli obiettivi importanti, come la caduta del muro della paura, la fine del mito di un’autorità eterna e intoccabile, l’estensione delle libertà e il ritorno del cittadino all’azione pubblica. E vista l’assenza di proposte efficaci dello Stato oppressore volte a migliorare le condizioni di vita delle persone e a garantire i loro diritti, non è escluso che la rivoluzione ritrovi il suo vigore iniziale.

Ora è importante che la forza rivoluzionaria faccia prova di un’obiettiva autocritica e che passi dall’improvvisazione e la passionalità ad un disegno concreto e razionale per la comprensione della situazione presente e la concezione di quella futura.

Anwar al-Jumawi è un professore universitario e ricercatore tunisino.

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