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“La rivoluzione e la furia”: il primo film sulla rivoluzione del 30 giugno

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Il lungometraggio che racconta la rivoluzione del 30 giugno è diretto da Mohamad al-Sami, scritto da Wahid Hamid e vanta la presenza di Ahmed Al-Saqqa nel ruolo del presidente Al-Sisi

Di Tareq al-Shenawi. Asharq al-Awsat (02/07/2017). Traduzione e sintesi di Flaminia Munafò.

Da tre mesi le notizie sulle riprese del film “I giorni della rivoluzione e della furia” sono poco chiare: il lungometraggio che racconta la rivoluzione del 30 giugno è diretto da Mohamad al-Sami, è scritto da Wahid Hamid e vanta la presenza di Ahmed Al-Saqqa nel ruolo di Al-Sisi. La forte reticenza sui dettagli fa pensare ad un enigma, e l’unica certezza è che non sappiamo né quando finiranno le riprese né quando ci sarà la prima.

È davvero possibile presentare un’opera artistica sulla rivoluzione del 30 giugno isolatamente da quella del 25 gennaio? Sembrerebbe impossibile considerato che è stata proprio quella del 30 giugno a modificare il cammino e il destino della rivoluzione di cui i Fratelli Musulmani si dichiarano i difensori: questi due eventi non si possono separare. Avvenimenti così importanti persistono nella vite dei popoli e ne influenzano la sensibilità nella quale convivono una moltitudine di punti di vista; come spesso si dice, “il Diavolo si nasconde nei dettagli”, perché una stessa informazione viene recepita diversamente a seconda di chi la fornisce e di come lo fa, “lasciando la porta aperta a Satana” per entrare.

Le altre rivoluzioni della Primavera Araba sono forse state proposte a livello cinematografico? Ce ne sono centinaia, per non parlare di tutti i video girati con il cellulare e che possiamo considerare dei veri e propri documentari che riportano gli avvenimenti di quei mesi, monitorati per le piazze e per le strade, eppure la tradizione del lungometraggio necessita di tempo per assimilare e per selezionare più di un’opera artistica.

La domanda è: sarà mai possibile vedere la rivoluzione in un’ottica neutrale? Lo stesso concetto di neutralità è relativo, e quello che alcuni considerano imparzialità, oggettività e trasparenza, da altri viene visto come iniquità, soggettività ed ingiustizia. Fino ad ora divergiamo su molti degli avvenimenti della nostra storia contemporanea, al punto che il ministero dell’Istruzione in Egitto ha deciso di fermarsi nei corsi di storia contemporanea all’epoca della presidenza di Sadat e di cancellare dal curriculum scolastico il periodo di Mubarak per diminuire i punti di vista sul suo conto; gli stessi storici dubitano delle versioni a disposizione, fluttuanti in una realtà di mercurio, dai tratti ambigui e impossibile da afferrare

Esiste una tale molteplicità di idee che gli scottanti avvenimenti che teniamo tra le nostre mani non possono farci pensare di possedere tutti i dettagli relativi ad un evento, anzi, di volta in volta ci sorprendiamo se uno storico o un ricercatore confermano una verità distruggendo la credibilità di ciò di cui non avevamo alcun dubbio.

Tutto il mondo era a sostegno delle rivoluzioni, e i grandi festival cinematografici di Cannes o Venezia hanno accolto a braccia aperte i film arabi che appoggiavano questi avvenimenti: c’è da dire però che il focus principale era più sul sostegno alla causa politica che sul loro valore artistico. Molti di quei film, inoltre, non sono mai stati proiettati nel paese che li ha prodotti, come nel caso del film egiziano “18 Jours”, presentato a Cannes nel 2011.

Dovremo aspettare i prossimi anni per vedere un film drammatico che non contraddica ciò che abbiamo vissuto veramente? A tal proposito, lo scorso anno, durante il Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard, è stato proiettato il film “Clash” di Mohamed Diab, il lungometraggio che descrive in parte la rivoluzione del 30 giugno in un’ottica umana diretta: il film sostiene la rivoluzione e il regista è uno di coloro che scesero in piazza quel giorno chiedendo la destituzione del presidente.

Sicuramente abbiamo bisogno di lungometraggi che descrivano la nostra vita politica, e le rivoluzioni in questo senso ne sono portavoce; sicuramente i film continueranno a riportare il punto di vista del loro regista, così come è vero che lo Stato è chi possiede gli strumenti di controllo e non ne autorizzerà la diffusione se non nel rispetto delle proprie convinzioni; ciò nonostante, è necessario mettere in pratica il detto “non abbandonare del tutto ciò che non possiedi completamente”.

La rivoluzione merita effettivamente più di un film a prescindere dalla diversità di opinioni, forse l’inizio è proprio il film di Wahid Hamid, avvolto dal mistero.

Tareq al-Shenawi è un importante critico cinematografico, scrittore e giornalista per diverse testate tra cui Al-Masry al-Youm e Asharq al-Awsat.

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