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Rivoluzione delle idee o idea di rivoluzione?

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Due concetti spesso confusi all’interno delle società

Di Mohammed Abdessattar al-Badri. Asharq al-Awsat (23/05/2017). Traduzione e sintesi di Flaminia Munafò.

L’idea di rivoluzione e la rivoluzione delle idee sono due concetti che spesso si confondono: il primo riguarda il cambiamento del sistema istituzionale che governa uno Stato, mentre il secondo è relazionato col rinnovamento di alcuni principi del sistema culturale e intellettuale predominante in una società, sia attraverso l’innovazione dei concetti già presenti al suo interno, sia introducendone dei nuovi. Spesso purtroppo confondiamo i due e le loro implicazioni sulla società, anzi, in alcune occasioni diamo al primo un’importanza maggiore a scapito del secondo, questo perché la rivoluzione cambia gli strumenti di potere e spinge le società ad intraprendere un nuovo percorso.

Con le ondate della Primavera Araba alcuni si sono convinti ancora di più che le rivoluzioni politiche nelle società e nei Paesi abbiano portato ai cambiamenti politici desiderati, sia positivi che negativi, ma la costante storica, al contrario di ciò che si dice, è che esempi del genere in realtà sono pochi: nella storia moderna si distinguono la Rivoluzione francese del 1789, la bolscevica del 1917, la cinese del 1949. Queste erano rivoluzioni fondamentalmente ideologiche, il cui obiettivo non era solo cambiare il potere e i suoi strumenti o sostituirli con altri membri e istituzioni, ma semmai cambiare la mappa della società e delle credenze intellettuali e politiche. Ci sono altri esempi di rivoluzioni, e che secondo me sono la maggioranza, i cui effetti sono delimitati nel tempo e relativi al cambio dei governanti che hanno modificato i sistemi politici ma non la dottrina politica, culturale e intellettuale della società: da qui la grande differenza tra i due concetti.

Il problema non si limita alla semplice sostituzione degli strumenti di potere e delle istituzioni dello Stato o dei personaggi nel gioco delle poltrone politiche: la rivoluzione delle idee deve venire prima della rivoluzione in generale che spesso ha un costo politico, economico e umano maggiore rispetto allo sviluppo intellettuale che accompagna l’evoluzione del comportamento dei cittadini.

Mi vengono in mente due modelli molto importanti: il primo è quello di Martin Lutero del 1517 e il secondo quello dello shaykh Aly Abderrazak nel suo famoso libro “L’Islam e le basi del potere” del 1924: il primo ha cambiato il cammino dell’Occidente, il concetto di legalità politica e le pratiche della dottrina in Europa, aprendo la strada ad una rivoluzione culturale, intellettuale e religiosa; il secondo ha modificato il concetto di legittimità del potere nel mondo arabo-islamico, ed è stato rifiutato dalla maggior parte dei Paesi musulmani poiché basato sull’accettazione, da parte delle società islamiche, della scomparsa del califfato e dalla sua sostituzione con altre strutture.

Il vero obiettivo che soggiace alla rivoluzione delle idee è dunque rinnovare il pensiero in generale, sia attraverso il concetto stesso di rivoluzione, sia attraverso ciò che la sociologia chiama shock therapy, ossia, la promozione di elementi nuovi ed insoliti in opposizione con una realtà determinata per spingere gli intellettuali, e dietro di loro la società e le istituzioni dello Stato, a rivedere i concetti esistenti sullo sfondo dei mutamenti affinché non vi sia conflitto tra il cambiamento da un lato e lo sviluppo desiderato dall’altro.

Salvaguardia dell’identità e adattamento col presente: la rivoluzione intellettuale qui non significa abbandonare il passato della nazione e i suoi pilastri religiosi culturali e storici, ma semmai rinnovare e sostituire i concetti volti al cambiamento.

Mohammed Abdessattar al-Badri è ambasciatore egiziano a Mosca, professore all’American University in Cairo e autore di diversi libri.

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