La battaglia militare e politica di Raqqa

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Di Bakr Sadiqi. Al-Quds al-Arabi (8/06/2017). Traduzione e sintesi di Veronica D’Agostino.

La battaglia finale per il controllo della città di Raqqa, capitale del “Califfato islamico” in Siria, è da poco iniziata e dalle ultime notizie sembra che la sua liberazione sia molto vicina, si parla infatti di giorni o di poche settimane. Alcune notizie riferiscono del raggiungimento di un accordo senza combattere tra le forze democratiche siriane e quelle di Daesh (ISIS) per il ritiro di quest’ultime verso il deserto siriano a sud. Nonostante ciò, gli aerei della coalizione internazionale anti-Daesh, guidata dagli Stati Uniti, continuano a bombardare la città e le zone limitrofe, provocando la morte di centinaia di civili.

Pertanto, il volto politico della battaglia di Raqqa è quasi oscurato da quello militare e tutto ruota intorno alla seguente domanda: chi controllerà e gestirà la città dopo il ritiro di Daesh?

Purtroppo, dal punto di vista siriano, questa battaglia mette in atto strumenti etnico-nazionali di discordia dal momento che il numero di siriani, soprattutto quelli della popolazione di Raqqa, presente nelle forze armate è minore rispetto a quello stabilito; mentre l’Unione democratica curda aspira ad ampliare il controllo territoriale su di essa per svolgere al meglio il ruolo richiesto dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, in previsione di un’alleanza strategica con essi. L’opinione pubblica araba, però, è fortemente contraria alla possibilità di un’occupazione curda e a un suo ruolo nella zona. Naturalmente gli americani sono molto pragmatici nel lasciare la gestione della città di Raqqa – a maggioranza araba –  in mano alle forze curde ed essi tengono conto anche della maggiore sensibilità della Turchia rispetto a quella della popolazione di Raqqa e delle altre zone settentrionali limitrofe, vicine al confine turco.

Infatti, una volta liberata, si prevede che gli americani optino per una gestione mista della città dove la componente civile araba giocherà un ruolo importaante. Questa è anche la richiesta della Turchia al fine di evitare conflitti tra arabi e curdi, non graditi anche dagli stessi americani. La possibilità che Raqqa venga liberata dall’Isis e venga protetta dagli attacchi aerei asiatici e russi è quindi reale. È probabile inoltre che il suo modello gestionale venga adottato in generale in tutte le aree che si trovano sotto l’influenza americana, ovvero circa metà del territorio siriano. Ma questo è un bene?

Dal punto di vista nazionale, ciò sembrerebbe portare a una vera divisione del territorio, fatta non in base ai gruppi etnici, ma in base alle rispettive aree di influenza. Il resto dell’area potrebbe essere ripartito tra russi, turchi e iraniani, a meno che gli Stati Uniti non decidano di espellerli tutti dalla Siria. Raqqa non sembra quindi trovarsi sotto la sfera d’influenza turca che, in una fase successiva, potrebbe invece includere il governatorato di Idlib e la regione curda di Afrin.

Infine, per quanto riguarda i pesi delle forze in atto nel conflitto siriano, la fine dell’occupazione della città di Raqqa avrà un effetto positivo nella riorganizzazione degli esistenti equilibri a scapito degli iraniani, dei russi e della loro controparte siriana, con conseguenze anche per la Turchia. Sul campo invece, il vero vincitore sarà il Partito dell’Unione democratica curda. Infatti, se le sue forze abbandonassero quelle riprovevoli pratiche compiute sia sulla popolazione curda che araba, la vittoria della battaglia di Raqqa gioverebbe anche alla causa curda, oltre ad alleviare chiaramente le sofferenze dei siriani e a permettere loro di ritornare a condizioni di vita normali.

Bakr Sadiqi è uno scrittore siriano.

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