La battaglia di Raqqa e le porte dell’inferno

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Yaman Dabqi. Al-Araby al-Jadeed (04/04/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.

Con l’inizio della battaglia di Mosul, la preparazione della riconquista di Raqqa aveva subito un arresto per diverse ragioni, soprattutto per la fase transitoria che l’amministrazione americana stava attraversando dopo le elezioni. Trascorsi i primi cento giorni della presidenza Trump, si sono confermati i tratti della sua politica per quanto riguarda la lotta al terrorismo in Siria e in Iraq. Non si sono spezzati i rapporti tra i grandi giocatori in campo in Siria, non soltanto a Raqqa, ma per tutte le battaglie in corso, spesso concepite nelle stanze delle politiche internazionali.

La Turchia, in particolare, aveva avanzato circa due mesi fa tre proposte al presidente Trump per la battaglia di Raqqa. Una di queste prevede l’apertura di un passaggio a Til Abiad, sul fronte settentrionale siriano, per permettere alle forze speciali turche di liberare la città da Daesh (ISIS) e consegnarla alla componente araba.

Questo progetto si sposa con il desiderio di Erdogan di tagliare definitivamente la strada alle Forze Democratiche Siriane che vogliono avere un ruolo di primo piano nella battaglia, sotto l’egida della coalizione internazionale. Infatti, dopo i ripetuti successi della Turchia nella regione di Al-Bab, è cresciuta la sua ambizione di continuare la guerra contro Daesh per eliminare il sogno dei curdi di creare una loro entità politica autonoma, considerata una minaccia per la sua sicurezza nazionale. Ma le scelte politiche delle forze in campo questa volta non la favoriscono, con il rischio di un altro scontro con la Russia che recentemente ha sostenuto i curdi ad Afrin, ignorando gli impegni presi.

La Turchia si ritrova isolata anche dagli americani, dopo il loro intervento diretto in Siria, l’invio di combattenti e carri armati nella regione di Mnabij e le operazioni di sbarco sulle rive dell’Eufrate. Perciò tutto quello su cui può puntare ora è di giocare sulle contraddizioni tra gli Stati Uniti e la Russia per difendere le sue posizioni.

Dall’altro lato, la Russia ha espresso la sua indignazione per il piano di liberazione di Raqqa, dal momento che l’amministrazione americana mostra di ignorare la sua richiesta di intervenire con i propri aerei e di far partecipare il suo alleato Assad con forze di terra.

Quando qualche giorno fa la Francia annunciava che questa battaglia era ormai alle porte, le Forze Democratiche Siriane stavano effettivamente guadagnando terreno, con il controllo dell’aeroporto al Tabka e della diga dell’Eufrate. Sembra dunque chiaro che esse assumeranno un ruolo fondamentale nella battaglia.

L’elemento cruciale in questa vicenda è comunque l’intento delle potenze in campo di  fiaccare la componente sunnita, soprattutto dopo le operazioni di allontanamento degli abitanti di Raqqa, che migrano anche per le minacce dei miliziani di Daesh e il pericolo di un crollo della diga sull’Eufrate, che provocherebbe una catastrofe con l’inondazione di Raqqa, Deir Ezzor e Boukmel.

L’obiettivo è chiaro: allontanare la maggioranza sunnita per sottomettere la regione costringendola ad accettare la tutela internazionale.

Raqqa non sarà più come prima, soprattutto per l’assenza di un vero dibattito sul suo futuro. Forse sarà piuttosto la geografia della regione a definire il suo destino: quello di una divisione tra le sfere di influenza americana e russa.

Tuttavia, per il momento, non è possibile stabilire quando avrà luogo questa battaglia. Se il piano è la sua distruzione, potrebbero volerci diversi mesi, come si sta verificando a Mosul con il 70% della città raso al suolo. Lo scopo sarebbe allora evidente: distruggere le città sunnite, sacrificando i loro abitanti, per dividere il territorio. Non è escluso che il disegno che si sta delineando sia quello di un nuovo accordo Sykes-Picot.

Yaman Dabqi è un giornalista e presentatore radiofonico siriano.

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