Quante volte abbiamo pronunciato male la parola jamāl (bellezza) e l’insegnante ci ha detto, ridendo, “Se pronunci jamal senza la vocale lunga, stai dicendo cammello”? E’ il primo pensiero che lego a questa radice con cui la lingua araba esprime il concetto di bellezza. In italiano ‘bello’ dovrebbe collegarsi al diminutivo latino di ‘bonus’, buono. In arabo c’è un riferimento non tanto dissimile nel termine jamīl, ‘bello’ se usato come aggettivo, ma ‘buona azione’ se usato come sostantivo. Ciò che mi colpisce davvero, però, è che la radice j-m-l porta anzitutto il concetto di “sommare, riassumere”. Dunque, ho pensato, in qualche modo la bellezza diventa una somma, una sintesi. Non facendo leva tanto su un senso armonico, di proporzioni, ma per me semmai rimarcando che si tratta della somma di tante cose, jumla ‘un insieme di cose’ mi fa pensare proprio a questo. E jumla in arabo indica anche la “frase”: quale esempio migliore di somma? Che sia formata da un verbo, due parole o un’intera sfilza di versi, una frase somma elementi, al pari di una formula. Non solo il rigo annerito dall’inchiostro, ma chi la pronuncia, chi si trova a coglierla, il luogo e il momento in cui viene ad esistere concorrono a determinarne l’esito, la natura. Una somma, una molteplicità la caratterizzano. “La graduale manifestazione degli elementi – ecco la crescita dell’uomo e la crescita dell’opera creativa”: Marina Cvetaeva, poetessa russa, sembra potersi incarnare in j-m-l, che nel suo indicare la sintesi, l’insieme, mi ha riportato alla memoria anche le parole di Cristina Campo. Il pensiero di quest’ultima rende j-m-l una costellazione di indizi, l’essenza interna che sgorga dalle idee, che si coglie mettendo insieme frammenti: “Ci occorre sempre un simbolo concreto per afferrare un’idea come si afferra un pezzo di pane – ma non è mai il simbolo che potemmo supporre, quello calzante e perfetto – ma un’altra cosa che indica obliquamente, a una cert’ora propizia…”
Claudia Avolio
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