Politica Zoom

Opposizione disonorata

L’opinione di Al-Quds al-Arabi (9/4/2012). Traduzione di Carlotta Caldonazzo

L’ “incidente” del vicepresidente iracheno Tareq al-Hashemi non fa che riflettere la terribile situazione in cui versa il “nuovo Iraq”. L’Iraq del primo ministro Nouri al-Maliki, dove non c’è immunità per le più alte cariche, non ci sono istituzioni politiche né giudiziarie, ma una dittatura mostruosa controlla il destino del paese in modo capillare.

Al-Hashemi ha commesso degli errori. Anzitutto quando ha accettato l’occupazione Usa nel suo paese e in seguito quando ha preso parte al processo politico sorto dal grembo di questa occupazione, credendo che questa sua decisione giovasse ai sunniti iracheni.

Se al-Maliki è stato accusato di settarismo sciita, la stessa accusa si potrebbe rivolgere ad al-Hashemi, il suo attuale avversario. Con una differenza fondamentale: al-Maliki ha in mano tutti i poteri che sono risultati vacanti a causa della debolezza sia dei suoi avversari e dei loro sostenitori; al-Hashemi invece vive da fuggiasco, spostandosi da una capitale all’altra del Golfo, in fuga dall’Interpol, dopo che il suo avversario ne ha chiesto l’arresto con l’accusa di terrorismo.

Dopo dieci anni di occupazione, la scena politica irachena appare dunque drammatica. Infrastrutture e servizi in pessime condizioni, sicurezza quasi inesistente, attività politica vacillante. L’aspetto più pericoloso resta tuttavia la corruzione, che secondo Transparency International ha raggiunto il suo picco rendendo l’Iraq uno dei paesi più corrotti al mondo. Il mandato di arresto per di al-Hashemi è dovuto alle accuse di coinvolgimento di alcune sue guardie del corpo in atti di terrorismo. Uno di loro è stato arrestato, costretto ad apparire in televisione con una “confessione” pubblica. Stessa proedura adottata dal precedente regime iracheno (quello di Saddam Hussein) e dalla maggioranza degli altri regimi totalitari arabi.

Paesi in cui il potere giudiziario sia indipendente e rispettabile non possono ricorrere a simili tattiche arretrate. Ma il nuovo Iraq non è nel novero di questi paesi. Se infatti durante il processo del vecchio presidente e dei suoi collaboratori il comportamento del sistema giudiziario non avrebbe potuto essere peggiore, in molti non esitano a sostenere che la situazione in seguito si sia addirittura aggravata.

Il fatto che il presidente della regione semiautonoma del Kurdistan iracheno Massoud Barzani abbia chiesto agli Usa di intervenire per rovesciare il governo di al-Maliki, sostenendo che fosse più autoritario di quello di Saddam Hussein, invita a porre molte domande sull’occupazione dell’Iraq, costata più di mille miliardi di dollari, nonché 5mila soldati morti e oltre 30mila feriti.

Gli Usa sono intervenuti per imporre un sistema democratico, con tutto ciò che ne consegue sul piano delle libertà, del rispetto dei diritti umani e della giustizia. Tuttavia quando si assiste all’acentramento dei poteri nelle mani del primo ministro e della fazione dei suoi sodali, alla perdita da parte del parlamento del suo peso politico (al punto che le sedute sono molto rare), all’evanescenza dell’opposizione, di cui la maggior parte, temendo per la propria vita, vive in esilio, questo nuovo Iraq americano suscita una profonda delusione.

L’assenza di al-Hashemi forse sta durando più del previsto. La storia si ripete: gli opositori della dittatura di al-Maliki hanno trovato rifugio nell’esilio in cerca di sicurezza, proprio come facevano gli oppositori di Saddam Hussein. Con una sostanziale differenza: quest’ultimo ha costruito un Iraq forte, unito, non settario, benché non democratico.