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Continua il ciclo di violenza e controviolenza in Egitto

Egitto scontri
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L'opinione di Khalil al-Anani sulla più sanguinosa e violenta operazione contro le forze di polizia egiziane dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013.

Di Khalil al-Anani. Al-Araby al-Jadeed (23/10/17). Traduzione e sintesi di Cristina Tardolini.

Lo spargimento di sangue in Egitto sembra non avere fine.

Qualche giorno fa 15 poliziotti, tra ufficiali e reclute, sono stati uccisi in quelli che il ministro degli Interni egiziano ha definito “scontri” avvenuti sulla strada che porta all’Oasi di Bahariyya tra forze di polizia e un gruppo di militanti. Cinquanta persone sono state uccise, decine di persone sono state ferite e un agente di polizia è stato rapito ed in seguito liberato. L’identità degli assalitori non è stata identificata e nessun gruppo si è assunto la responsabilità di questa operazione, la più sanguinosa e violenta contro le forze di polizia egiziane dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013.

Tuttavia, dalle prime notizie giunte, si crede nel coinvolgimento dell’organizzazione Almoravid, tra i principali attori della scena jihadista in Egitto nel 2017, guidata dall’ex ufficiale Hisham Ashmawi. Secondo il Ministero degli Interni egiziano, l’operazione ha avuto luogo dopo aver ricevuto informazioni sull’esistenza di un gruppo armato che stava preparando attacchi a siti e obiettivi sensibili al Cairo.

L’attacco arriva meno di una settimana dopo un altro attacco da parte di gruppi armati appartenenti allo stato del Sinai, in particolare nella regione centrale di El Arish, e responsabili di numerosi agguati nell’area di Karam Al-Qawadis. Non è il primo attacco alla polizia e all’esercito in Egitto, e non sarà certo l’ultimo nel ciclo di violenza che ha avuto inizio circa quattro anni fa e che ancora sembra non concludersi.

La dimensione politica dell’attuale violenza nel paese resta importante per comprendere l’immagine complessiva della situazione in Egitto. Coloro che seguono le dichiarazioni dei gruppi violenti che sono emersi nell’arena egiziana negli ultimi due anni, scoprono facilmente il rapporto tra lo stato di repressione praticato dall’attuale regime contro alcune correnti islamiche e gli alti tassi di estremismo e violenza nei settori in cui i giovani islamisti sono impegnati in un conflitto armato contro lo Stato e le sue istituzioni. L’insistenza dell’attuale regime nell’affrontare la violenza da una prospettiva di “sicurezza”, senza alcuna visione politica o sociale, è piuttosto un fallimento, come dimostrano le continue operazioni terroristiche.

Questo dimostra che il regime è incapace di proteggere i suoi membri e le istituzioni, ma nonostante ciò esso non cessa di impiegare questa carta politicamente: non sorprende pertanto che i ministri dell’Interno e della Difesa rimangano nelle loro posizioni, sebbene sia evidente il totale fallimento per proteggere i loro membri da attacchi terroristici.

L’Egitto continuerà a subire il ciclo della violenza e della contro-violenza, a meno che non venga riconosciuta una crisi politica e venga avviata una nuova visione politica globale, basata sulla riconciliazione comunitaria, smascherando i gruppi violenti ed eliminando l’alone dell’ingiustizia.

Khalil al-Anani è Dottore in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali; è professore associato all’Università di Doha e ha insegnato in precedenza presso la John Hopkins University. Inoltre, è ricercatore presso il Middle East Institute e l’Università di Durham.

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