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È arrivato il turno dell’Iran?

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All’indomani della fine della battaglia di Raqqa, l’America distoglie lo sguardo dalla guerra contro Daesh e rivolge la sua attenzione a un’altra sfida mediorientale: l’Iran

Di Marwan Kabalan. Al Araby Al Jadid (25/10/2017). Traduzione e sintesi di Chiara Avanzato.

L’America di Trump svela la sua nuova strategia nei confronti dell’Iran, strategia che non intende, fra le altre cose, certificare l’accordo sul nucleare iraniano, come annunciato la scorsa settimana dallo stesso presidente. A dare il via all’implementazione di tale politica “anti-iraniana” è stata la missione mediorientale del Segretario di Stato Rex Tillerson, il quale è intervenuto nella regione a favore tanto del risanamento della frattura nel Golfo, a seguito dell’embargo guidato dall’Arabia Saudita contro il Qatar, che a favore del processo di migrazione di Baghdad dalla sfera di influenza iraniana a quella saudita e che l’accordo per l’istituzione di un Consiglio di coordinamento iracheno-saudita ha contributo ad accelerare. Un peso non indifferente hanno avuto inoltre il monito rivolto da Tillerson alle milizie iraniane presenti in Iraq di unirsi all’esercito iracheno o di lasciare il paese e l’esortazione indirizzata ai propri alleati europei di bloccare ogni forma di scambio commerciale con Teheran e unirsi agli Stati Uniti nell’imposizione di sanzioni contro i Guardiani della rivoluzione.

In tale contesto appare significativo dunque l’intervento del Consigliere della Sicurezza della Casa Bianca e responsabile della missione di coordinamento strategico anti-Iran, Herbert McMaster, il quale lo scorso 25 settembre a Washington ha illustrato come l’attuale politica americana in Siria consista principalmente nell’impedire a Teheran di estende la sua autorità sulle zone siriane prima controllate da Daesh e di ostacolarlo nel suo intento di creare un corridoio che, passando dalle sue aree di influenza in Iraq e in Siria, arrivi fino in Libano.

L’esistenza di un movimento americano-israeliano supportato dagli Stati del Golfo per bloccare l’influenza iraniana in Siria è ciò che probabilmente ha spinto Mosca a inviare il suo ministro della difesa, Segej Sojgu, in Israele a metà del corrente mese per raggiungere un accordo sulla natura e sui limiti del ruolo dell’Iran in Siria.

Il supporto di Washington all’Unità di Protezione Popolare, si pensi al contributo americano nella conquista da parte dei curdi del controllo della maggior parte del governatorato di Deir el-Zor e del campo petrolifero di al-Omar, sono la dimostrazione della strategia americana in Siria. Tale politica costituisce però al tempo stesso una minaccia: il conflitto in Siria, presentato dai media come guerra settaria, rischia di trasformarsi in una guerra arabo-curda in cui gli arabi in Siria e in Iraq si avvicinano alla posizione dell’Iran nella lotta ai curdi sostenuti dall’America.

I tentativi di riunire gli Stati arabi “moderati” e Israele in un unico campo “anti-iraniano” minacciano l’intera mappa degli schieramenti regionali e potrebbero portare all’effetto controproducente di rafforzare l’Iran invece che isolarlo.

Marwan Kabalan è uno scrittore e ricercatore siriano.

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