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Chirac e il mondo arabo: più che una storia di amicizia

di Antony Samrani L’Orient_Le Jour (27/09/2019) Traduzione e sintesi di Katia Cerratti

L’ex presidente ha restituito alla politica francese un orientamento favorevole verso i paesi arabi.

Jacques Chirac ha segnato il mondo arabo come nessun altro leader occidentale ha fatto, per decenni, con sorrisi, risentimenti e un grande no che rimarrà inciso nella storia. In effetti, chi altro, oltre al generale de Gaulle, può vantare una strada con il suo nome, in questo caso Ramallah, in questa regione del mondo? L’ex presidente francese, morto venerdì scorso, vi ha vissuto i momenti più forti della sua vita politica sulla scena internazionale. Nella memoria collettiva, ne ricorderemo due in particolare.

Il primo si svolge il 22 ottobre 1996, nelle strade di Gerusalemme. La visita del presidente francese, che viene percepita dalle autorità israeliane come più favorevole alla causa araba rispetto al suo predecessore François Mitterrand, arriva un anno dopo l’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin. Si svolge in un clima elettrico. Gli israeliani spingono i giornalisti e soprattutto impediscono ai commercianti arabi di entrare in contatto con il presidente francese nella Città Vecchia. È troppo per Jacques Chirac che, avvertito di un nuovo incidente, si lascia andare a una reazione memorabile contro le forze di sicurezza israeliane. “Che cosa c’è ancora? Mi sto stancando!” – comincia a brontolare in francese. E di fronte a un poliziotto israeliano assolutamente stordito gridò:”What do you want ?… Me to go back to my plane and go back to France ? Is that what you want ? » (“Cosa vuoi? … che torni sul mio aereo e che torni in Francia? È quello che vuoi?”). La scena farà il giro del mondo e costruirà la leggenda di Jacques Chirac nel mondo arabo. Il giorno successivo, verrà accolto in trionfo a Ramallah e nei territori occupati. Questi pochi secondi di nervi e impertinenza, accompagneranno Jacques Chirac i tutti i suoi viaggi in questa regione per più di un decennio.

“Ho sperimentato al Cairo, Beirut, Damasco, ma anche ad Algeri, qual è stata la naturale popolarità di Chirac nel mondo arabo”, racconta a L’Orient Le Jour Hervé de Charette, ex ministro degli Affari esteri francese ( 1995-1997). Siamo ormai nel 2003.  L’uomo che Yasser Arafat ha soprannominato “Dr. Chirac”, ha perso un po’ della sua audacia e della sua superbia. Il mondo è cambiato dall’11 settembre 2001. Gli Stati Uniti sono gli unici a dare il la, quello di una guerra totale contro il “terrorismo”, questo nemico incorporeo identificato prima in Afghanistan e poi in Iraq. L’America di George W. Bush vuole porre fine al regime di Saddam Hussein, accusato di possedere armi di distruzione di massa e promette che la sua scomparsa consentirà l’emergere di un nuovo Medio Oriente. Washington vuole costruire un’ampia coalizione contro uno dei suoi più vecchi nemici. Ne seguiranno mesi di negoziati diplomatici in cui la Francia farà di tutto per cercare di convincere gli Stati Uniti a non andare in guerra contro l’Iraq. Il 14 febbraio 2003, il ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin pronuncia un discorso memorabile al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ricevendo una lunga e calorosa ovazione, cosa non abituale in quella sede. Poche settimane dopo, il 10 marzo 2003, il presidente francese minaccia di usare il suo diritto di veto in caso di risoluzione che apra la strada a un intervento americano in Iraq. La guerra avrà comunque luogo, Washington deciderà di fare a meno delle Nazioni Unite. La Francia non ha potuto impedire questa tragedia che sconvolgerà profondamente e durevolmente la regione. Anche i suoi rapporti con gli Stati Uniti ne risentiranno. Ma questo momento, specialmente agli occhi degli Arabi, rimarrà come quello in cui la Francia ha detto no allo zio Sam, la prima potenza mondiale, in nome della difesa dei suoi principi, delle sue convinzioni e della stabilità di una regione cara al suo presidente. “Chirac ha avuto il coraggio di non urlare con i lupi. E la storia lo ha dimostrato “, ha commentato a l’OLJ Maurice Vaïsse, storico francese delle relazioni internazionali, autore di un libro sulla politica estera di Jacques Chirac.

Non si possono ridurre soltanto a questi due eventi i tre decenni di sincera amicizia tra la fenice della destra francese e il mondo arabo. Soprattutto perché di momenti, sicuramente meno intensi, ce ne sono stati altri: la visita del 1974, organizzata dal Primo Ministro Jacques Chirac, dell’allora numero due del regime iracheno, Saddam Hussein, al centro nucleare francese Cadarache; il discorso del presidente francese nel 1996 al Cairo, dove spiega che la politica araba della Francia “deve assumere” una dimensione essenziale; le lacrime dell’uomo che sopravviverà a quasi tutti i “vecchi leoni” del mondo arabo, di fronte ai resti mortali di Yasser Arafat nel 2004. Il leader dell’OLP non ha sempre avuto il consenso del leader della destra. Ma i due uomini, due “animali politici” che condividono il genio della conquista e delle relazioni umane, hanno imparato ad addomesticarsi, prima di arrivare a un rapporto sincero di amicizia. A Jacques Chirac, non sono mancati amici nel mondo arabo: Saddam Hussein, Mubarak, Hassan II, Bouteflika, Abdallah II di Giordania o Re Fahd d’Arabia possono tutti vantarsi di avere avuto una relazione stretta con il presidente francese. Per non parlare ovviamente del suo amico più intimo, non solo nel mondo arabo ma sulla scena internazionale, Rafic Hariri. “Aveva un’ottima conoscenza del mondo sunnita, che gli era più familiare”, racconta a l’ OLJ François Nicoullaud, ex ambasciatore francese in Iran.

La dimensione personale è una componente essenziale della politica di Chirac nel mondo arabo. “È un uomo che curava molto i rapporti umani”, afferma Maurice Vaïsse. “Nulla lo ha affascinato di più di incontrare altri leader mondiali, parlare con loro, sedurre, creare legami di amicizia”, ​​afferma Hervé de Charette. “Aveva senza dubbio la migliore rete globale di amicizie tra i leader mondiali”, aggiunge l’ex ministro.

Tuttavia l’amicizia non è tutto. Se inizia a stabilire legami profondi con il mondo arabo negli anni ’70, poco più tardi come sindaco di Parigi, Jacques Chirac arriva alla presidenza francese nel 1995 con una certezza consolidata: che i destini di entrambe le sponde del Mediterraneo sono collegati e dobbiamo assolutamente fare affidamento sul dialogo per promuovere la pace e la stabilità nel mondo arabo. “Ciò che mi ha colpito è stato vedere quanto fosse scontento dei problemi del Medio Oriente, sinceramente infelice, sinceramente preoccupato. Interrogava la gente, cercava costantemente di trovare soluzioni “, afferma François Nicoullaud. “Nei confronti del mondo arabo aveva un’attrazione, una sensibilità, una comprensione naturale delle situazioni storiche “, conferma Hervé de Charette.

In rottura, più nella forma che nella sostanza, con François Mitterrand ,  il cui ministro degli Affari esteri Roland Dumas aveva affermato che la Francia non aveva “nessuna politica araba”,  Jacques Chirac si riconnetterà con la tradizione gollista, orientata favorevolmente verso i paesi arabi. “Al suo arrivo al Palazzo dell’Eliseo, si è impegnato personalmente nella ricostruzione di una vera politica araba della Francia”, afferma Hervé de Charette. A coloro che lo accusano di avere un tropismo troppo forte a favore del mondo arabo, risponde in un’intervista al giornale Haaretz nel 2005: “Non esiste una politica filoaraba, che sembra voler dire anti-israeliana. C’è sempre stata una politica di amicizia con Israele e di amicizia con i paesi arabi. Uno non è esclusivo dell’altro. L’idea è abbastanza semplice sulla carta: la Francia deve avere una sua voce, deve essere in grado di parlare con tutti e deve essere in grado di fare da mediatrice“. Lo farà nel conflitto israelo-palestinese, ma anche nei tempestosi rapporti tra Libano e Siria, o tra i paesi sunniti e l’Iran. “Dal 2003, si è adoperato davvero per trovare una soluzione negoziata sul nucleare iraniano. È, in un certo senso, il padre dell’accordo nucleare “, osserva François Nicoullaud.

Questa visione chirachiana delle relazioni internazionali, che è una continuazione di quella del generale De Gaulle ma fa dell’osservanza delle norme internazionali, una dimensione essenziale della politica francese – mentre il generale chiamava l’ONU “questa cosa”, ispira chiaramente l’azione dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron. C’è come una nostalgia per lo chirachismo nelle relazioni internazionali sia nel mondo arabo che all’Eliseo. Questa politica, che ha fatto il prestigio della Francia, tuttavia, ha le sue zone d’ombra e i suoi limiti, che oggi sembrano ancora più visibili.

La difficoltà della Francia, prima di tutto, in quanto potenza “mediamente grande”, a pesare sulle maggiori crisi della scena internazionale. La Francia ha spesso ragione nella sostanza, ma non ha sempre i mezzi per guidare le principali decisioni politiche a suo favore. Poi, la sua visione del mondo, a volte presa in ostaggio tra la sua volontà di fare realpolitik e i suoi discorsi, mettendo in evidenza la difesa dei diritti umani. In qualche modo, anche questo è Jacques Chirac: il mondo arabo di papà, dove le violazioni dei diritti umani sono state ignorate, dove le società civili contavano meno delle questioni geopolitiche e dove le amicizie personali con i dittatori erano comuni. Questo mondo non è morto, tutt’altro, ma è stato in qualche modo ridicolizzato dalla primavera araba.

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