Mondo arabo: mappa del caos

Glaheb Hassan al-Shabandar (Elaph – 16/09/2012). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Il mondo arabo è da sempre al centro dell’attenzione delle potenze mondiali. Un po’ per la sua posizione strategica che gli consente di controllare le principali rotte commerciali internazionali e le vie di accesso ai continenti asiatico e africano, un po’ per le sue risorse minerarie, petrolifere e in misura minore agricole. Durante la guerra fredda questa regione è stata teatro di alleanze e polarizzazioni, innescate dagli accordi bilaterali e dalle relazioni strategiche tra alcuni paesi arabi e l’uno o l’altro dei due blocchi avversari. Rapporti che si traducevano in sostanza nella protezione e nel sostegno accordato dalle grandi potenze ai regimi disposti a salvaguardarne gli interessi economici e militari. Al punto che in questa regione si è concentrata una massiccia mole di investimenti stranieri, senza che nessuno si chiedesse quanto fossero proficui.

Finita la guerra fredda, altri fattori hanno contribuito a delineare la situazione politica dell’area (e in generale del mondo): la globalizzazione, la presenza della religione sulla scena politica, l’emergere della coscienza nazionale nei vari gruppi etnici e nelle minoranze. Quest’ultimo aspetto in particolare complica tanto i rapporti all’interno di un singolo paese e tra i vari stati della regione quanto le relazioni tra il mondo arabo nel suo complesso e le potenze mondiali, nel cui novero non entrano più solo le potenze tradizionali come Gran Bretagna e Francia e quelle consolidate come Usa e Russia. Con la fine della guerra fredda, emergono infatti potenze regionali estremamente competitive, prime fra tutte la Repubblica islamica iraniana e la Turchia. Al di fuori del mondo arabo intanto iniziano a guadagnare peso paesi come Cina, Giappone, Corea del Nord, Malesia, India e Pakistan. Si diversificano pertanto anche i mezzi dello scontro per conquistare l’egemonia della regione, non ultimo il settarismo o l’uso strumentale delle divisioni settarie.

Nel mondo arabo infatti esiste una contrapposizione tra blocco sciita e blocco sunnita, ma anche tra “blocco della resistenza”, (Siria, dal governo iracheno, dal partito sciita libanese Hezbollah), e blocco “filo-occidentale” (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Nord Africa). Vale la pena notare che i paesi guida dei due fronti, rispettivamente Iran e Turchia, sono entrambi non arabi. A delineare la nuova mappa geopolitica regionale dunque non sono solo i criteri etnico, religioso e culturale, ma anche e soprattutto la Realpolitik. Infatti il mondo arabo è teatro e al contempo posta in gioco dello scontro tra potenze esterne, ma difficilmente può sperare di parteciparvi attivamente, soprattutto perché non ha un paese guida. Ruolo che l’Egitto ha perso per i problemi interni e per la concorrenza “interna” dell’Arabia Saudita che intende proporsi come riferimento religioso e identitario.

Manca persino l’intenzione da parte del mondo arabo di conquistare un ruolo attivo nello scacchiere mondiale. Di conseguenza aumentano gli attori regionali e internazionali, che decidono tempi e modi di alleanze sempre più effimere e tentano di imporre persino mutamenti culturali, come dimostra lo sforzo di diffondere la lingua persiana e turca nei paesi satelliti, che va di pari passo con il proliferare di canali satellitari ricchi di trasmissioni sul pensiero, la cultura, il folklore e la storia. Contestualmente si assiste a interventi militari diretti da parte delle grandi potenze: Iraq, Libia e non è escluso che l’esperimento si ripeta in Siria. Altra conseguenza dell’attivismo di paesi esterni nel mondo arabo, alcuni popoli hanno iniziato a condividere con i rispettivi governi l’interesse per questioni comuni come quella settaria o di scuola religiosa, anche se ciò non implica una condivisione assoluta di vedute. Per ora si può solo attendere per vedere come si evolveranno questi nuovi scenari.

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