Battaglia decisiva per il destino di al-Aqsa. Ma dove sono gli Arabi?

L’opinione di Al-Quds Al-Arabi (07/11/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti

Venerdì sono scoppiati violenti scontri in diverse parti di Gerusalemme e della Cisgiordania tra i palestinesi e le forze di occupazione, sullo sfondo delle continue violazioni e degli attacchi senza precedenti da parte di Israele alla moschea di Al-Aqsa, fin dalla sua caduta in prigionia quarantasette anni fa. È ormai chiaro che il governo di occupazione ha optato per l’escalation, partendo dalla convinzione che la battaglia non riguardi solo la moschea di Al-Aqsa, ma il destino stesso di Gerusalemme. Ed è ormai giunto il tempo di chiudere la questione più difficile e più sensibile, con provvedimenti unilaterali che traggano vantaggio dal deterioramento delle posizioni arabe. In pratica Israele ha deciso di seppellire il processo di pace, morto molto tempo fa e ciò impone di rivedere la strategia palestinese e araba per affrontare l’occupazione.

Considerando le guerre civili e i tumulti che interessano Paesi arabi fondamentali, sembra che la strada per costruire una posizione significativa nei confronti di Israele, che tenta di eliminare ciò che resta della questione palestinese, sia accidentata. Tuttavia, la peculiarità della battaglia impone un approccio e misure di natura straordinaria a livello arabo e palestinese. Innanzitutto i palestinesi hanno bisogno ora più che mai di una vera unità nazionale non solo nel linguaggio politico, ma nelle azioni prima ancora che nelle parole, raggruppando le forze nazionali di diverso orientamento politico e ideologico contro il nemico occupante, lontano dalle battaglie intestine e dalle lotte regionali.

Il richiamo dell’ambasciatore giordano da Tel Aviv per consultazioni è stato un riflesso diplomatico estremo della rabbia popolare e parlamentare per il proseguire delle violazioni israeliane contro Al-Aqsa. Ma malgrado la telefonata tra il re di Giordania e Netanyahu, e il fatto che il governo giordano abbia accennato di voler “rileggere l’accordo di Wadi Araba” che concede a Amman la giurisdizione sui luoghi sacri musulmani, l’aggressione israeliana non è cessata. La Giordania può fermare il coordinamento di sicurezza e sospendere il commercio con Israele, e ciò influirà negativamente sulle sue esportazioni verso altri Paesi arabi e sui rapporti con Il Cairo.

L’Egitto e l’Arabia Saudita non potranno limitarsi a rassicurare, mentre si intensifica l’aggressione israeliana contro Al-Aqsa e Gerusalemme, se vogliono consacrare la propria tradizionale posizione nel mondo arabo e nell’Islam sunnita. Forse il ravvicinamento americano-iraniano e le aspettative di giungere presto a una soluzione finale sul dossier nucleare saranno un incentivo per adottare misure pratiche tese a costruire una posizione araba quasi compatta. I provvedimenti potrebbero includere il ritiro dell’iniziativa di pace araba, il richiamo dell’ambasciatore egiziano, il congelamento degli accordi commerciali tra Il Cairo e Tel Aviv e la sospensione delle manifestazioni di normalizzazione gratuite che sono diventate una parte fondamentale degli incontri internazionali.

Sì, forse gli Arabi non avranno molte carte da giocare alla luce di dati regionali e internazionali difficili, tuttavia potrebbero almeno, se lo volessero veramente, non concedere legittimità all’aggressione israeliana, e questa è la speranza più flebile.

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