Egitto Media Zoom

Solamente sessantamila prigionieri politici?

sisi-egitto
Abdel Fattah al-Sisi
I diritti umani spina nel fianco dei potenti

Di Fatima al-Iisawy, al-Araby al-Jadid (8/01/2019). Traduzione e sintesi di Mario Gaetano.

Il presidente egiziano Abd al-Fatah al-Sisi ritiene di poter trattare la stampa straniera come vuole, se poi il suo interlocutore è l’informazione araba, dà il peggio di sé.
Il generale ha attaccato Wiqah giornalista del programma “60 minuti” del canale americano CBS, quando questi gli ha chiesto conto dei sessantamila prigionieri politici rinchiusi nelle carceri egiziane, i quali sono ancora in attesa di processo o sono stati imprigionati senza un regolare processo. Alla domanda del giornalista, il generale ha abbozzato un sorriso ben noto e ha risposto con ingenuità: “Non so dove prendiate le vostre statistiche” e ha continuato a parlare a vanvera.
Alla “fantastica” performance del generale, si è unita quella dell’ambasciata egiziana che ha tentato di bloccare la messa in onda dell’intervista, ma la CBS ha risposto diffondendo tale richiesta e trasmettendo l’intervista.
Se da un lato al-Sisi non ha scusanti per il suo comportamento durante l’intervista, dall’altro potrebbe avere ragione nella misura in cui effettivamente non si possono conoscere con esattezza i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri di Arabia Saudita, Egitto e di altri Paesi arabi, cui poi vanno aggiunti quelli ancora in attesa di processo che l’informazione non menziona. Secondo il sito “mu’taqali al-ray” , il numero degli arrestati nel Regno, si aggira intorno ai 2.613, soprattutto in seguito alle nuove restrizioni introdotte riguardo alla libertà d’espressione nel 2017, durante la crisi con il Qatar. La campagna repressiva si è conclusa con il fermo di attivisti e accademici.
Per tornare alla situazione egiziana, la cattiva reputazione del regime nei confronti dei diritti umani, la tortura fino alla morte nei posti di polizia, i fermi arbitrari e ogni altro genere di privazione sono documentati nei rapporti delle organizzazioni per i diritti umani, e testimoniano la peggior crisi sul piano umanitario, cui assiste il Paese mediterraneo nella sua storia moderna.
La maggioranza degli arrestati in Egitto rimane senza processo per oltre due anni o non subisce un regolare processo. Il ricercatore e giornalista Hisham Gia’far è ancora in custodia cautelare, nonostante siano passati due anni; stessa sorte è toccata al fotografo M.Z. Zayd che è ancora in prigione, nonostante siano trascorsi 5 anni, durata della sua pena, per aver scattato delle fotografie, che ritraevano lo sgombero del sit-in nel 2013 a favore dei Fratelli musulmani in piazza Rabiyyah al-Adawiyyah, in quell’occasione morirono quasi mille manifestanti. Per questa ragione, l’UNESCO ha concesso al fotografo il premio per la libertà di stampa.
Negli Emirati la situazione non è delle più rosee, l’attivista per i diritti umani Ahmad Mansur è stato condannato a dieci anni di carcere, con l’accusa di aver rovinato la reputazione del suo Paese sui social network per la frase scritta su twitter:
“il politico e gli imperatori della repressione continuano a ridere, intanto le prigioni si allargano”.
In ultima analisi, il ritorno sulla scena internazionale del terrorismo ha fornito al presidente Assad una scusa per reprimere ancora di più i diritti dei cittadini e a questo punto viene da chiedersi: sono davvero tutti estremisti i sessantamila imprigionati nelle carceri egiziane?

Fatima al-Isawy è docente all’università di Essex.

Vai all’originale

About the author

Redazione

Arabpress dal 2011 si dedica al mondo arabo e islamico fuori e dentro l'Italia. Uno strumento utile per chiunque voglia tenersi aggiornato su quello che succede quotidianamente nell’area mediterranea e medio orientale attraverso notizie, approfondimenti e articoli di giornalisti e esperti nel settore, oltre a traduzioni dalla stampa ufficiale internazionale.

Add Comment

Click here to post a comment