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Marocco: tra riforme e criminalizzazione del dissenso

di Samia Errazzouki (AlAkhbar 27/07/2012). Traduzione di Claudia Avolio.

 

Più di un anno è trascorso dall’inizio delle prime proteste in favore della democrazia in Marocco. Dal 20 febbraio 2011 – data di nascita dell’omonimo movimento – il Paese ha adottato una nuova Costituzione che promette misure più libertarie. Elezioni parlamentari lampo hanno portato a capo del governo il partito islamista di Giustizia e Sviluppo (PJD). I sostenitori del regime dicono che per attuare le riforme ci vorrà del tempo, ma intanto sono scarsi i segnali di un Marocco che si incammini su un sentiero di riforme democratiche.

 

Domenica 22 luglio, ciò che rimane del Movimento 20 febbraio ha protestato in tutta la nazione, da Rabat a Casablanca e al-Jadida. Il numero di attivisti sarà minore, ma le loro richieste sono le stesse del primo giorno: niente più corruzione, sì a una separazione dei poteri, a libertà economica ed educativa, e alla libertà d’espressione. Il portale di citizen-journalism marocchino, Mamfakinch, ha riportato le notizie relative alla giornata di proteste, pubblicando una serie di foto del corteo a Jadida, città a sud di Casablanca. Le immagini ritraggono manifestanti insanguinati e con escoriazioni, dopo aver subìto percosse dalla polizia celere che ha disperso la protesta usando i manganelli.

 

Dopo le proteste di domenica, la polizia ha portato via e trattenuto sei attivisti (5 uomini e una donna) a Casablanca. Laila Nassimi, l’unica donna del gruppo, è stata rilasciata su cauzione ed il suo processo si svolgerà il 3 agosto insieme agli altri 5, ai quali è stata negata l’uscita su cauzione. Parlando con Abdesslame El Bahi, uno degli avvocati degli attivisti, si apprende della natura violenta della loro detenzione. El Bahi dice che i cinque uomini hanno riportato ferite, e malgrado la promessa di essere medicati, al momento devono ancora essere visitati. Le accuse per tutti e sei gli attivisti sono almeno tre: l’appartenenza al “vietato movimento del 20 febbraio”, violenza contro la polizia e interruzione del traffico – accuse contestate dai loro avvocati.

 

Le imputazioni coincidono con un ostruzionismo sempre più forte rivolto al Movimento 20 febbraio da parte del regime. Ci sono report dell’arresto di 11 attivisti a Casablanca, solo per il loro aver aderito e partecipato alle attività del movimento. Un membro del partito Socialista Unificato (PSU) – gruppo che ha apertamente sostenuto il Movimento – è stato anch’egli tratto in arresto. Il Movimento 20 febbraio ha vissuto il suo apogeo tra aprile e maggio, prima del referendum costituzionale, con un numero di manifestanti che si attesta tra i 10 e i 20 mila. Lo stesso periodo ha visto anche un picco nella violenta repressione della polizia, che ha attirato l’attenzione dei media internazionali. La gloria è durata poco, e dopo il referendum costituzionale del 1 luglio – boicottato dal movimento che lo taccia di essere una riforma cosmetica – i numeri hanno cominciato a scendere.

 

Un primo segnale è giunto dopo le elezioni parlamentari del 25 novembre, quando l’ala islamista del movimento, al-Adl Wal-Ihsan (AWI), si è staccata dal gruppo adducendo a spiegazione il fatto di aver “sofferto una marginalizzazione che si è espressa nel tetto alle richieste politiche, il divieto di fare dichiarazioni pubbliche così come di usare slogan che riflettano la nostra ideologia”. Un secondo segnale può inscriversi nella costante alienazione del movimento da parte del regime e nell’embargo coi media statali – fatto che ha costretto a una mobilitazione del movimento nella società marocchina. Il gruppo è stato più volte vilipeso con accuse di essere radicale, separatista, orientato verso l’estrema sinistra, ed islamista – una narrazione presto presa per buona dagli animi del popolo.

 

Dopo il discorso di re Mohammad VI del 9 marzo, in cui annunciava ampie riforme costituzionali in risposta alle richieste del movimento, la maggioranza dei marocchini ha pensato che valesse la pena di aspettare la nuova Costituzione. E con i sussidi quasi raddoppiati dal governo, al fine di tamponare l’effetto di probabili innalzamenti nei prezzi dei beni comuni e del carburante, gli stessi marocchini hanno sentito d’avere poco a che spartire con le proteste domenicali del movimento. Il gruppo pro-democrazia continua intanto a vivere un declino nel numero di chi vi prende parte, e alcuni analisti già preannunciano la sua caduta. Ma la recente protesta del 22 luglio e la repressione del regime sugli attivisti indica che, nonostante il Movimento 20 febbraio possa essere in declino, il suo fulcro – per quanto piccolo – rimane lo zoccolo duro di qualcosa che dà fastidio al regime.

 

La decisione del giudice di Casablanca che accusa gli attivisti di essersi associati a un “movimento illegale” indica una brusca deviazione dalla seppur limitata tolleranza del regime verso il gruppo. Mentre l’ex-ministro delle Comunicazioni Khalid Naciri aveva usato parole dure nel descriverlo, nessun funzionario del regime lo aveva finora mai definito “illegale”. Il famoso blogger marocchino e “avvocato in libertà vigilata”, Ibnkafka, ha delineato su twitter i tre aspetti-chiave della vicenda: “1. Notizie importanti dal Marocco: una corte di Casablanca ha processato manifestanti solo perché appartenenti al movimento del 20 febbraio. 2. La corte ha definito il movimento come “illegale” – cosa che non è, dal momento che formalmente non è una entità legale. Si tratta di una rete non strutturata. 3. Ciò che conta ancora di più: non c’è stata alcuna proibizione del movimento. L’ordine della corte sembra essere una mossa furtiva…”.

 

Il verdetto fa sorgere domande sul processo decisionale dietro casi del genere. La mancanza di trasparenza rende arduo misurare il ruolo della monarchia su tali decisioni. La costituzione del 2011 non istituisce una netta separazione tra il potere della monarchia e il processo giudiziario. Stando all’articolo 56, “Il Re presiede il Consiglio Superiore della Magistratura”. L’articolo seguente afferma che il re approva anche le assunzioni dei magistrati attraverso il dahir – un incontestabile decreto reale. Ed anche se l’articolo 107 dice che “Il potere giudiziario è indipendente da quello legislativo ed esecutivo”, l’articolo 108 dice però che il re è il “garante” di questa indipendenza – ostruendo dunque la legge di separazione, ancora una volta.

 

Il verdetto in sé si trova in diretto conflitto con l’articolo 10, in cui ci si impegna a proteggere “la libertà d’opinione, d’espressione e di riunione” di coloro che si oppongono. Etichettare il Movimento 20 febbraio come “illegale” è un’ulteriore passo verso la marginalizzazione di un gruppo già indebolito dalla continua e sistematica repressione esercitata dal regime. Con la criminalizzazione del movimento, il regime è ben riuscito a dare un segnale del fatto che il suo impegno nell’apportare democrazia altro non è che una ben congegnata chiacchera da public relations. Il fine di tale discorso del regime è quello di plasmare un’immagine di sé che trasmetta stabilità e accontenti chi la vede da fuori. I tempi stanno di certo cambiando per il regno del Nord Africa – ma sembra che non volgeranno al meglio.