Di Basel Turjman. Elaph (18/11/2014). Traduzione e sintesi di Ismahan Hassen.
Ha suscitato scalpore la Svezia, con la sua decisione del riconoscimento dell’esistenza di uno Stato palestinese, che ha posto gli altri Stati dell’Unione Europea dinnanzi a due situazioni difficili: la prima, riguardante la loro responsabilità morale davanti al mondo, ossia quella di fare pressioni su tutti coloro i quali si interessano di politica, di etica, delle relazioni con Israele, nonché del garantire la sua sicurezza assoluta; la seconda, riguardante la mancanza di giustificazioni che li ha condotti a non impegnarsi a favore della causa palestinese, nonostante siano trascorsi vent’anni dall’inizio dei negoziati tra palestinesi e israeliani per il raggiungimento della pace.
L’Europa si è così trovata di fronte a delle svolte tra le più pressanti nel percorso di riconoscimento dello Stato palestinese, della sua economia, della sua sicurezza, trovandosi spiazzata dalla rimessa in campo della questione da parte della Svezia, che l’ha posta sotto i riflettori dai quali gli esperti di politica estera dell’UE sono fuggiti, poiché messi in una situazione critica e che si allontana da ciò che sono le decisioni della politica estera americana, per ciò che riguarda la pace in Medio Oriente.
L’UE si è infatti trovata combattuta tra il riconoscimento dello Stato palestinese e quindi il raggiungimento della pace da una parte, e dall’altra la volontà di chiudere gli occhi davanti all’impegno ad assumersi questa responsabilità da parte dei partiti politici al potere verso l’opinione pubblica europea, che simpatizza ed è apertamente schierata con il diritto dei palestinesi alla fine dell’occupazione a vivere in un proprio stato indipendente.
La corsa dell’UE nell’impegnarsi a favore della questione palestinese, ha avuto avvio da parte del parlamento irlandese, a cui è seguito quello inglese, fino ad arrivare alla stessa decisione presa con una maggioranza schiacciante all’interno del parlamento spagnolo, in attesa delle operazioni di voto di quello francese. Ciò ha rappresentato il fatto che i parlamenti di questi Paesi appoggino chiaramente il riconoscimento palestinese, tuttavia però bisogna dire che le decisioni prese senza alcun obbligo non si limitano ad altro che ad una vera e propria “vendita di parole” senza alcun peso politico in realtà. Esse infatti rappresentano un tentativo di tener buoni i palestinesi, facendo loro sperare nella possibilità che arrivi il momento giusto per il riconoscimento di un loro Stato, senza che nessuno sappia ancora quando ciò avverrà.
La fuga dal riconoscimento delle rivendicazioni dei diritti politici e morali dei palestinesi, si impone invece all’interno della politica estera dell’UE come affermazione continua di Washington e della sua egemonia esercitata con forza su tutte le decisioni europee. Infatti, il discorso di una politica europea indipendente e di un’opinione diversificata nei confronti delle crisi e dei conflitti presenti nel mondo e nei confini più vicini alla regione legata geopoliticamente al Vecchio Continente continua a suscitare vane speranze.
La pace in Medio Oriente continua ad essere instabile, mentre il riuscire o meno a guadagnarsi da vivere, a fronte dell’indifferenza politica che ha complicato le decine di anni passati, continuerà a condizionare la situazione palestinese nei prossimi anni. Il tutto all’ombra della mancanza di volontà di ricercare una soluzione per la realizzazione della pace, e mentre il piano di Washington si imbatte nel dover ridisegnare la “Primavera araba” e le alternative per la situazione israeliana e quella palestinese.
In questo contesto, il rimuovere il “capitolo Palestina” dalle questioni urgenti, inserendolo all’interno delle “questioni rinviate”, rappresenta la soluzione migliore in mancanza di alternative politiche e altre soluzioni all’interno della regione.
La rassegnazione all’impossibilità di trovare una soluzione equa per la questione palestinese, la perdita di occasioni per il raggiungimento della pace, e il non riuscire a costituire uno Stato palestinese, ha così aperto la porta ad un nuovo capitolo di conflitti ancora più sanguinosi e violenti, che si sono così radicati da uscire dalla sfera della comprensione intellettuale.
Gli episodi di violenza nel conflitto israelo-palestinese hanno infatti cominciato a manifestare le loro caratteristiche attraverso nuove modalità di operazioni militari, che i palestinesi mettono in atto contro gli israeliani, senza armi ma con nuovi strumenti escogitati da loro e difficili da poter immaginare e da contrastare.
L’Europa che ha sempre introdotto la sua longa manus nel dramma palestinese, la inserisce ancora una volta oggi nel riconoscere loro il diritto ad esistere come Stato indipendente ma si nasconde dietro alla vendita di un inganno per i palestinesi, che serve a mascherare la sua impotenza nel prendere una posizione coraggiosa e che vada al di fuori dell’influenza americana, che impone all’Europa la sua politica estera dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Basel Turjman è giornalista per Elaph.
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