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L’esito delle elezioni in Iran

Rohani Iran
Al suo secondo mandato presidenziale, quali saranno le sfide per il presidente Hassan Rouhani?

Di Hamid Dabashi. Al-Jazeera (21/05/2017). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Nel mezzo di una spettacolare spinta democratica contro le istituzioni teocratiche dello stato, Hassan Rohani è stato rieletto presidente per la seconda volta con una maggioranza schiacciante: più di 23 milioni di persone hanno confidato in lui contro i 15 milioni del suo rivale conservatore Ebrahim Raisi. Una vittoria che gli permetterà di continuare la sua – seppur lenta – trasformazione pacifica della Repubblica Islamica verso un neoliberalismo economico.

Se la struttura e la forma della Repubblica Islamica rimangono pressoché le stesse, qualcosa di apparentemente innocuo, anche se affascinante, emerge dall’interno. Siamo nel mezzo di una vera e propria metamorfosi. Una simile intuizione democratica dovrà ora essere testata contro le enormi sfide che attendono il presidente e il suo governo. Rohani non è ancora riuscito a tradurre il successo del suo accordo nucleare con i 5+1 in guadagni economici tangibili per la classe media.

D’altronde, il presidente americano, Donald Trump, non trasmette di certo fiducia o stabilità per le future relazioni tra USA e Iran. Il desiderio di vendere più armi all’Arabia Saudita e di placare gli animi degli israeliani rappresentano degli ulteriori ostacoli finanziari alla presidenza Rohani. Tuttavia, la presenza dell’Iran in Iraq, Siria e Libano è fondamentale al successo degli Stati Uniti e al suo fermo obiettivo di combattere contro Daesh (ISIS).

Ma aldilà di USA, Russia e Cina, l’Iran ha davanti a sé delle sfide regionali molto più urgenti che potrebbero far vacillare il successo di Rohani. In un momento in cui nessuna potenza rispetta più i suoi confini territoriali, interferendo nelle politiche di altri stati, sarà questa geopolitica regionale ad influire sulla presidenza Rohani e non il contrario.

Ad ogni modo, qualora il presidente sarà impegnato sul piano globale a chiedere investimenti esteri e ad alleviare le tensioni regionali, potrà ottenere una maggiore forza all’interno del Paese. La vittoria di Rouhani è il trionfo di una robusta classe media che prevale sulla banalità ideologica di una teocrazia ormai obsoleta. Dall’altra parte, però, non possiamo ignorare quella fazione della popolazione che ha espresso preferenza per l’avversario Raisi, ultimo reduce di quell’ordine clericale che si riferisce al dominio storico della classe mercantile conservatrice.

La nuova generazione muove sempre più verso il neoliberalismo globale. In questo, bisogna tenere a mente che il globalismo rischierà di aumentare il divario di reddito e le divergenze tra ricchi e poveri, tra la classe media globalizzata e gli emarginati di questa stessa globalizzazione. E da notare anche che una fetta di quei milioni che hanno votato per Rouhani fa parte proprio di questa categoria di emarginati che Rohani e il suo governo non potranno ignorare.

Per concludere, se i poveri e gli emarginati che quel neoliberalismo incosciente genererà senza dubbio non troveranno spazio nel mercato economico in espansione, essi diverranno la versione iraniana più temuta di Trump e Le Pen messi insieme. E una simile premonizione si era già avuta nelle vesti dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad.

Hamid Dabashi è Professore di Studi Iraniani e Letteratura Comparata alla Columbia University a New York.

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