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Leila Nachawati Rego, la siro-galiziana che lotta in rete

Di Laura Fernández-Palomo. La Voz De Galicia (28/01/2014). Traduzione di Roberta Papaleo.

Di educazione spagnola e di origine araba, Leila Nachawati Rego è una delle voci più chiarificatrici della rivoluzione siriana in Spagna. Quella che sottolinea che il conflitto armato che affligge il Paese natale di suo padre “non è arrivato dal nulla”.

“Prima del 2011, la Siria era un buco nero che nascondeva un governo tremendamente fascista con la sua popolazione. A chi oggi vuole capire cosa sta succedendo, manca un contesto di 50 anni”. Leila quel contesto l’ha conosciuto e, come “i bambini e gli animali”, ricorda di aver “respirato la paura” di quegli anni di infanzia nei quali la sua famiglia – la mamma galiziana e il padre siriano – si trasferì da Santiago de Compostela a Damasco. “Erano gli anni ’80, in un Paese chiuso e isolato, molto duro per chi veniva dall’esterno. Decidemmo di tornare in Galizia”.

Leila mantenne i contatti, fino a quando nel marzo 2011 decise di schierarsi affianco della ribellione del popolo siriano, rispettando le condizioni dei suoi genitori: “Accettiamo la tua posizione a patto che nessuno torni nel Paese finché non sarà caduto il regime”.

Da allora, Leila fa parte della scena dell’attivismo arabo, dei racconti, delle denunce, dei dibattiti sulla regione che agitano i social network e che sono stati oggetto del quarto incontro dei blogger arabi tenutosi da poco in Giordania. L’iniziativa è cominciata prima delle cosiddette “rivoluzioni su internet”, quando “stavamo solo esplorandone i limiti. Non c’era ancora nessuno che dicesse a Bashar al-Assad di andarsene, ma c’era l’intenzione di infrangere i limiti della censura”, spiega Leila.

Ci sono riusciti: “Quando nel 2011 ho partecipato per la prima volta all’incontro, l’euforia era incredibile. Ci sentivamo i testimoni storici e, in certa misura, parte di questi cambiamenti. Ora la sensazione è di scoraggiamento. Quello che si può ottenere scrivendo dei blog è molto limitato con dittature e gruppi di potere tanto crudeli. Noi abbiamo una penna e un blog, ma loro hanno le armi”. E hanno anche la prigione, come dimostrato dall’assenza di colleghi egiziani e siriani che non hanno potuto assistere a questa edizione dell’incontro in quanto detenuti.

Tuttavia, questa professoressa di Giornalismo e Comunicazione Audiovisiva all’Università Carlos III di Madrid, tenace difensore della libertà d’espressione – a suo dire “la madre di tutte le libertà” – non può tacere. Alla Siria e alla sua causa consacra quasi la totalità del suo tempo professionale e privato.

Il suo profilo Twitter conta più di 15.000 followers e il suo cognome siro-galiziano compare in non pochi progetti che danno luce a una lotta rivoluzionaria al di sopra del conflitto. A questo proposito, è co-fondatrice del sito Syria Untold , nato come “archivio storico della voce del popolo siriano attraverso la sua espressione artistica”.

Ci si potrebbe abbandonare al pessimismo, ma è nell’espressione civica che Leila valorizza il trionfo di questi processi rivoluzionari: “Contro questo non posso fare nulla, perciò bombardano, arrestano, torturano, ma non possono zittirlo del tutto”. Come non hanno fatto negli anni più duri, quando, anche stando in Galizia, ci si arrendeva all’autocensura. “Anche i siriani che crescevano all’estero parlavano del regime a voce bassa e per eufemismi: già questo dà l’idea del terrore nel quale siamo cresciuti”.

Adesso, a voce alta, ha consacrato le sue parole alla lotta del popolo siriano.

Qui, il blog di Leila Nachawati Rego

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