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I giovani yemeniti e la “grande prigione”

Yemen
“La grande prigione”: è così che molti giovani yemeniti descrivono il loro Paese dopo che si è spezzato il loro sogno di scappare alla ricerca di stabilità. Spostarsi diventa sempre più difficile e pericoloso e persino il percorso per ottenere l’asilo politico è pieno di ostacoli

Al-Arabi al-Jadeed (04/07/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.

In seguito alle minacce lanciate da gruppi estremisti contro gli impiegati di una organizzazione internazionale ad Aden, Omar Basjir, rimasto disoccupato, aveva deciso di lasciare il Paese alla ricerca di un’opportunità di lavoro o dell’asilo politico. Ma i suoi tentativi sono falliti: le sue richieste di asilo e di soggiorno, spedite all’ambasciata americana, britannica, canadese, francese e di altri Paesi arabi, sono state rifiutate senza motivazione. “I giovani sono come prigionieri”, ha dichiarato, “circondati dal mare a Sud e ad Ovest e da condizioni difficili nei vicini paesi del Golfo”. Ha poi spiegato che “le organizzazioni internazionali che si occupano di migrazione, in primis l’OIM e l’UNHCR, facilitano l’asilo per i migranti siriani, ma lo rifiutano agli yemeniti. Questo in ragione del disaccordo tra gli stati occidentali rispetto all’accoglienza dei rifugiati dello Yemen, secondo quello che mi hanno riferito le due organizzazioni”.

Ogni giorno che passa, gli yemeniti vedono aumentare le restrizioni per uscire dal Paese, risultato delle ripercussioni politiche ed economiche di una guerra che imperversa da più di due anni. Nonostante questo conflitto, gli yemeniti non godono delle facilitazioni riservate ai rifugiati, come è il caso di cittadini di altri paesi in stato di guerra.  Inoltre, alcuni paesi, come l’Egitto e la Giordania, prima non prevedevano il visto per gli yemeniti, ma con lo scoppio del conflitto l’hanno reso obbligatorio.

Muhammad Rasam, della città di Sana, studia ingegneria in un’università in Russia. Racconta che ha dovuto attraversare molte difficoltà, costose a livello di tempo e di denaro, per arrivare a destinazione. “Viaggiare è diventato una battaglia che richiede il superamento di diversi ostacoli, il primo dei quali è il rinnovo del passaporto, da effettuare necessariamente ad Aden, la capitale legittima provvisoria. E per raggiungere la città, bisogna superare decine di posti di blocco e perquisizioni da parte di vari gruppi armati. Poi, si è costretti a passare più di dieci giorni in città per il rinnovo del passaporto e l’attesa del volo per la Giordania. La compagnia aerea nazionale, che detiene il monopolio dei voli verso l’Egitto e la Giordania, ha aumentato i prezzi da 350 a 1.000 dollari, in un momento in cui una profonda crisi economica colpisce la popolazione”.

Una fonte dell’UNHCR ha dichiarato che l’Alto Commissariato “continuerà i negoziati con i Paesi europei per rispondere ai bisogni dei giovani yemeniti, in particolare quelli più esposti al pericolo, come gli attivisti per i diritti umani, i giornalisti, chi difende posizioni laiche e liberali”.

E conclude: “La guerra ha causato la fuga di 180 mila cittadini. La maggior parte di loro si è diretta in Arabia Saudita, in Giordania, in Egitto e in Malesia. Un numero destinato ad aumentare, visti i rischi a cui è sottoposta tutta la popolazione del Paese a causa della guerra in corso”.

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