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Arsal: l’abitudine della vista al labirinto della brutalità

arsal libano
La diffusione delle immagini delle atrocità nel campo profughi di Arsal in Libano rappresenta la prassi dell’ideologia e del sistema di repressione attuato nel Levante con cui si intende intimidire e umiliare chiunque manifesti il dissenso

Di Elias Khoury. Al-Quds al-Arabi (04/07/2017). Traduzione e sintesi di Federico Seibusi.

La campagna organizzata contro la presenza siriana in Libano ha assunto una forma di razzismo propria del sistema settario libanese. In questo contesto, le immagini dei giovani siriani interrogati e torturati dall’esercito libanese nel campo profughi di Arsal hanno impressionato e si collocano all’interno dell’eredità fotografica tracciata dalla brutalità ormai giunta al suo apice nel Levante arabo. Si tratta di immagini a cui ci si abitua poiché si fondono con le numerose scene di pestaggio, uccisione, tortura, umiliazione, deportazione e morte.

La diffusione delle immagini è un tipo di pratica utilizzata dai regimi iracheni e siriani e altri numerosi regimi arabi. Questa pratica si è trasformata in un sistema integrato di fronte all’insurrezione del popolo siriano contro la tirannia. In seguito, la pratica è diventata un’ideologia integrata di amministrazione delle atrocità, al pari dei sistemi attuati da Daesh (ISIS), che è in stretta relazione con la diffusione delle immagini e la loro pubblicazione sui social media. Questa pratica araba e internazionale si è attuata per consuetudine ed è una parte dell’iconografia della distruzione nel mondo moderno di cui gli Stati Uniti sono stati pionieri diffondendo immagini di tortura e umiliazione partendo da Guantanamo e arrivando ad Abu Ghraib.

Inoltre, le esperienze del regime siriano e di Daesh ci hanno insegnato come l’immagine sia una parte integrante del processo di repressione, poiché mira a umiliare e intimidire allo stesso tempo chiunque faccia opposizione.

Riguardo alla piaga del razzismo che affligge i libanesi, si tratta di uno dei sintomi del settarismo divenuto ormai una malattia cronica del Libano. In questo piccolo Paese vivono circa un milione e mezzo di profughi siriani, pertanto il gioco dell’umiliazione e della vendetta mostra la miopia di un progetto malato che mira al controllo armato sul Paese della comunità libanese.

Questa è la miopia del Movimento Patriottico Libero, il movimento che ha permesso l’elezione del primo presidente maronita “forte” da quando ci furono gli Accordi di Taif. Questo movimento è caratterizzato dal sentimento di vendetta verso i siriani e, in accordo con la sua estrema inclinazione settaria, fomenta un istinto di rivalsa verso tutto ciò che è arabo o che appartiene alla popolazione umile. In questo contesto, la scena atroce di Arsal cura in parte questa sete di vendetta e permette di rievocare il sogno di un Libano governato dalla repressione militare e di restaurazione del potere evocato durante l’invasione israeliana nel 1982.

I signori del progetto di appropriazione del potere basato sulla comunità armata sono convinti della loro forza e, attraverso la diffusione delle immagini di Arsal, hanno inviato un chiaro messaggio sottolineando come la repressione e l’intimidazione rappresentino una delle loro ultime armi. Inoltre, il messaggio indica chiaramente che la repressione dei profughi siriani in Libano deve seguire alla repressione dei siriani in Siria.

Dunque, la situazione attuale non avrebbe potuto raggiungere tali dimensioni se fossero stati allestiti  e organizzati dei campi legittimi per i rifugiati siriani in Libano. Questa mancanza di organizzazione porta all’anarchia che, secondo alcuni, può essere controllata attraverso la repressione.

In conclusione, tutto ciò conferma il rammarico che si prova di fronte a tali dimostrazioni di barbarie. Si tratta di un’onta indelebile che esige di ristabilire il concetto di giustizia. Un concetto unico e imprescindibile che permetta di liberarsi dal labirinto della brutalità.

Elias Khoury è uno scrittore libanese di fama internazionale, nonché drammaturgo e critico; è stato direttore dell’inserto letterario del quotidiano libanese An-Nahar ed è editorialista per il quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi.

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